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"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

giovedì 9 agosto 2012

Avanza la povertà materiale - Vivere negli stenti


Gio. 09.08.2012 - Dal Blog "LA CONOSCENZA RENDE LIBERI". Intervista al Dottor Paolo Pezzana, Presidente della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD), a cura di Luchino Galli, blogger e mediattivista

Dottor Pezzana, quando nasce la fio.PSD? Di cosa si occupa e chi sono gli associati? 
La fio.PSD, Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora, persegue finalità di solidarietà sociale nell’ambito della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora. Nasce nel 1985 dall’aggregazione spontanea di alcune realtà operative nel mondo dei senza dimora e solo nel 1990 si costituisce formalmente in un’associazione che andrà poi negli anni a riunire sotto il suo nome più di 80 organismi, tra Pubblica Amministrazione ed enti privati, che si occupano di homelessness e grave emarginazione sociale.
Ad oggi la fio.PSD promuove il coordinamento di queste realtà creando una rete attiva di organizzazioni pubbliche e private dal Nord al Sud del territorio nazionale ma si rende inoltre anche il punto di contatto con le Federazioni Europee.Tra i nostri obiettivi primari ci sono la sensibilizzazione sulle tematiche di homelessness e sui diritti delle persone vittime della grave emarginazione, con la volontà di sollecitare l’attenzione al problema davanti agli interlocutori sociali ed istituzionale, in una prospettiva di advocacy.
Fondamentali sono i momenti di formazione e di ricerca nei quali cerchiamo di coinvolgere i nostri associati e tutti coloro che sono interessati alla comprensione del fenomeno tramite incontri, convegni e seminari.

I bassi redditi, connessi al lavoro sempre meno retribuito e a pensioni inadeguate, la precarietà lavorativa, la disoccupazione hanno effetti dirompenti sul tessuto sociale italiano. La povertà estrema, nel nostro Paese, si sta diffondendo e non è più così difficile precipitare nell’indigenza assoluta e trovarsi per strada. Qual è l’esperienza della fio.PSD in merito? 
Fio.psd lavora a stretto contatto con i propri associati e con il mondo della grave emarginazione. Non ci mancano quindi le fonti che confermano questa tendenza. Anche secondo i dati che emergono dalla Ricerca Nazionale sulle Persone Senza Dimora ed i servizi loro dedicati che abbiamo condotto insieme a ISTAT, Caritas Italiana ed il Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali e che a breve saranno presentati al pubblico, ci sono sempre più insospettabili tra le fila degli homeless e delle persone in situazioni di grave indigenza. La crisi dell’ultimo periodo sta facendo affiorare molte di queste realtà e sta avvicinando giornali e altri media all’ argomento, purtroppo sempre più attuale. È di pochi giorni fa la notizia di un professore di un istituto superiore che, dovendo pagare il mantenimento ai figli a seguito di una separazione, di giorno va a lavorare  come sempre ma la notte, segretamente, va a dormire  in un centro Caritas perché non riesce a permettersi un affitto. E storie come questo sono all’ordine del giorno.
Dottor Pezzana chi sono le persone senza dimora? E’ arbitraria o ha un fondamento giuridico la distinzione tra persone “senza fissa dimora” e persone “senza tetto”?
La ricerca Senza Dimora si è basata sui criteri di Ethos, http://www.fiopsd.org/files/ethos%20italia.pdf e su diverse modalità di distinzione, tese a mettere l’accento non tanto sul mero elemento abitativo, ma sulla condizione di disagio ed isolamento sociale, relazionale, dinamico e multiforme che le persone in questa condizione, per le cause più diverse e data la loro multidimensionale povertà, debbono sopportare. L’indicazione “senza fissa dimora” sta gradualmente sparendo, sostituita dalla generale condizione dell’essere senza dimora, che va ad indicare tutti coloro i quali, nonostante abbiano un tetto sopra la testa, vivano situazioni di grave emarginazione sociale. La distinzione tra le due situazioni, sebbene non abbia fondamento giuridico, può essere ancora utile quando si parla della residenza anagrafica – da uno stralcio del testo “Parere di fio.PSD sulla circolare 108947/2011 della Direzione dei Servizi Civici e dell’Anagrafe del Comune di Genova” si può infatti leggere In questo testo si farà ricorso al termine “persona senza fissa dimora” ogni qual volta il riferimento sia alla qualificazione anagrafica della fattispecie, e “persona senza dimora” ove il riferimento sia invece alla presa in carico sociale della stessa. Ciò in quanto la dizione “senza fissa dimora”, pur corretta se usata in ambito anagrafico, non coglie in pieno, nel lessico impiegato da fio.PSD e dai suoi soci, la dimensione di esclusione sociale vissuta dalle persone senza dimora, non di per sé assimilabili alle categorie dei “girovaghi e circensi” per i quali la legge anagrafica del 1954 aveva coniato la dizione “senza fissa dimora”.
Con Ethos abbiano una distinzione più specifica delle condizioni di emarginazione sociale basata sui seguenti criteri:
  • Senza tetto: coloro che vivono senza riparo di alcun tipo, che dormono in strada.
  • Senza casa: coloro che dispongono di un posto per dormire a tempo determinato, in istituzioni specifiche o dormitori.
  • Sistemazioni insicure: coloro che vivono in locazioni insicure, sotto la minaccia di uno sfratto o subiscono violenze domestiche.
  • Sistemazioni inadeguate: coloro che vivono in abitazioni quali baracche, caravan, campeggi abusivi, case inadatte o sovraffollate.
In ogni caso occorre ricordare che la persona senza dimora è anzitutto una persona e che ciascuno di noi lo è in potenza, se non in atto. Se si dimentica questo, se si scorda cioè che non esiste per nessuno, in questa società, una “assicurazione contro la povertà” o un “farmaco” per guarirla, si continuerà a perpetrare la falsa illusione che dietro la grave emarginazione risiedano una colpa soggettiva o una condizione particolare di “malattia”; si tratta di stereotipi ancora molto diffusi, nati per costruire una sorta di “barriera psicologica” tra noi “normali” e gli altri “diversi” e tranquillizzare le nostre coscienze e routines dinanzi alla scandalosa provocazione che la povertà lancia alla fragilità della nostra comune condizione umana. Non cadere in queste semplificatorie definizioni o rappresentazioni è forse uno dei pochi modi che tutti abbiamo a disposizione per prevenire la nostra stessa caduta in povertà o reagire più efficacemente ad essa quando dovesse accaderci.
L’ordinamento giuridico italiano come garantisce e tutela il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica delle persone senza dimora, e cosa ha comportato l’istituzione, presso il Ministero dell’Interno, del registro nazionale delle persone senza fissa dimora?
Il diritto alla residenza anagrafica nel nostro ordinamento costituzionale, ove si sia nelle condizioni previste dalla legge (essere un cittadino italiano, comunitario o extracomunitario, regolarmente presente sul territorio nazionale, privo di iscrizione anagrafica in altro Comune della Repubblica e avente nel dato territorio nella quale la si richiede la sede principale dei propri affari, quali essi siano) è un diritto soggettivo perfetto, implicito in tutti gli altri diritti sociali poiché si pone come condizione burocratico-amministrativa essenziale per potervi concretamente accedere. Purtroppo questo diritto fondamentale, nel nostro Paese è come molti altri, un “diritto di carta”, nel senso che è ancora inaccessibile per molte, troppe persone sul territorio nazionale, visto che tanti Comuni, illegittimamente, continuano a rifiutare iscrizioni anagrafiche che invece dovrebbero effettuare, spesso sul falso presupposto che concedere una iscrizione anagrafica ad una persona povera significhi dover spendere di più in servizi sociali comunali. Fio.PSD ha dedicato a questo tema un’importante campagna un paio di anni addietro, proprio per contrastare le norme che il cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” dell’allora Ministro Maroni voleva introdurre in materia anagrafica; è ancora attivo il sito www.ilresidentedellarepubblica.it, entrando nel quale si può scaricare un documento chiamato “Diario di un Diritto Negato”, che è forse una delle più complete rassegne divulgative esistenti in questo momento in Italia su questo tema. Rimando a questo per approfondire l’argomento, così come al sito dell’Associazione Avvocato di Strada, che da anni porta avanti, quasi sempre con successo, battaglie legali contro i Comuni per ottenere questo diritto per le persone senza dimora.
Aggiungo solo che, anche grazie all’azione di fio.PSD con la campagna che sopra ho citato, il provvedimento, con il quale l’ex Ministro Maroni ha istituito il Registro Nazionale delle Persone senza fissa dimora, ha ottenuto un effetto paradossalmente benefico. L’attuale normativa infatti costituisce questo registro come registro elettronico di secondo livello, composto dal coordinamento dei registri anagrafici di tutti i Comuni Italiani per quanto attiene le registrazioni effettuate a persone senza dimora. Quello che poteva essere uno strumento discriminatorio e ghettizzante si è così di fatto trasformato in una sorta di “obbligo” burocratico per i Comuni a istituire e aggiornare questa sezione del loro registro anagrafico ed in uno strumento di controllo diretto ed indiretto per monitorare che le anagrafi locali adempiano correttamente a questo loro compito fondamentale. Ciò che era e resta importante è che a questo registro possano accedere solo gli ufficiali anagrafici e che sia uno strumento di pura gestione anagrafica e non di controllo o, peggio, di repressione. Per ora questo rischio, che certamente era tra i propositi di qualcuno di coloro che allora lo proposero, è stato scongiurato.
In base al censimento generale del 2001, erano 23.336 le famiglie che vivevano in auto, camper, roulotte, container, baracche, tende o altri alloggi e ricoveri di fortuna. Risultano ben 71.101 nel censimento del 2011. Quante, invece, le persone senza dimora? Sono state ufficialmente censite?
La Ricerca condotta da fio.PSD, che ha visto nella sua ultima fase lo svolgimento di 5.000 interviste a PSD (persone senza dimora), porterà a conoscere il numero dei senza dimora in Italia ed il loro profilo. La tipologia della PSD oggetto della Ricerca, così come concordato con il Ministero, Caritas Italiana ed Istat, si rifà alla tipologia ETHOS. Le 71.101 famiglie individuate dal Censimento 2011 è molto probabile che siano parte del totale finale che sarà reso noto da Istat entro la metà di luglio 2012. Le persone che vivono in tali condizioni erano infatti considerate, ai fini della ricerca, senza dimora, sebbene non possiamo escludere che, vista la difficoltà che spesso si ha nel trovarle sul territorio, alcune di loro siano “sfuggite” tanto alla nostra ricerca quanto al Censimento. Credo avremo numeri impressionanti, ma, nella nostra esperienza, continuiamo ad impressionarci per ogni singola storia e ogni singolo volto che si cela dietro ad una persona senza dimora. I numeri sono fondamentali per capire i fenomeni e decidere come allocare al meglio le risorse per agire nel gestirli e contrastarli. Se manca la volontà di farlo o il cuore per formare tale volontà, anche con i numeri a disposizione tutto diventa molto più difficile.
Dottor Pezzana quali risultati emergono dalla Ricerca nazionale sulla condizione delle persone senza fissa dimora in Italia “Diamo un volto agli invisibili”? 
Dalla ricerca emerge come il fenomeno della grave marginalità adulta sia in preoccupante e costante aumento. E’ oramai evidente a tutti (coloro che vogliono vederlo) come l’essere senza dimora non sia una “scelta di vita” ma il risultato di un processo, a volte anche breve, che porta ad una degenerazione personale. I principali fattori all’origine di questo processo sono la perdita del lavoro, la crisi coniugale, la salute. Molti sono gli stranieri. Le PSD non si spostano più da un posto all’altro ma tendono ad essere abituali frequentatori dei medesimi servizi. Per quanto concerne i Servizi erogati dalle Organizzazioni o Enti invece si evidenzia come la percentuale di servizi dedicati al recupero personale e alla costruzione di un percorso di uscita dalla condizione di senza dimora sia molto bassa, creando di fatto una condizione di auto-alimentazione del fenomeno. Emerge inoltre che i servizi che a questo fenomeno si dedicano riescono a coprire poco più della metà di quello che si può stimare essere il fabbisogno reale di servizi delle persone senza dimora presenti in Italia, e che solo il 50% dei servizi esistenti (la metà della metà di quelli che servirebbero) ricevono in qualche modo finanziamenti pubblici, spesso esigui. Emerge insomma, che la soddisfazione dei bisogni primari, ossia una sopravvivenza dignitosa, che è la prima esigenza che un Paese dovrebbe tutelare per chi in esso si trova, per i senza dimora in Italia è anch’esso un diritto negato.
L’Italia non solo è uno dei tre Paesi dell’Unione europea, insieme a Grecia e Ungheria, a non avere istituito il reddito minimo garantito, ma è anche uno degli Stati membri dell’Unione che destina meno risorse al sostegno del reddito, alle misure di contrasto alla povertà, o alle prestazioni in natura a favore di persone a rischio di esclusione sociale.
Nel rapporto 2011 redatto dallo European Committee of Social Rights, l’Italia è stata condannata dal Consiglio d’Europa per la violazione dell’articolo 31, comma 2 della Carta sociale europea, non avendo attuato politiche di housing sociale “destinate a prevenire e ridurre lo status di senza tetto in vista di eliminarlo gradualmente”.
Dottor Pezzana, perché le forze politiche di governo e le stesse Istituzioni sono così insensibili e sorde?
La risposta dovrebbe probabilmente essere lunga e complessa, poiché non basta pensare che la classe dirigente delle Istituzioni Italiane sia insensibile o incapace o che semplicemente mancano le risorse. A volte, molto banalmente, sono tentato di pensare che una risposta forse non ci sia, e che questa perversa disattenzione per chi nel nostro Paese sta peggio possa essere una tragica fatalità, ma questo sarebbe un errore fatale. Le cause ci sono e vanno ricercate, scoperte e denunciate. Sono cause storiche, culturali, politiche, economiche tutte intrecciate tra di loro e certamente difficili da risolvere e governare per chiunque, nel contesto istituzionale, le affronti da solo e con la sola buona volontà. Noi siamo convinti che la grave emarginazione sia solo la punta dell’iceberg dell’emarginazione sociale; sotto di essa sta una piramide enorme e con essa solidale di situazioni e fattori che, come ho già detto, ci pongono tutti a rischio; chi naviga le acque nordiche sa bene quanto sia pericoloso e devastante il rovesciamento di un iceberg, e questa crisi in termini metaforici sembra proprio rappresentarci ciò che può accadere socialmente quando un sistema iniquo e ingiusto come l’attuale contesto socio-economico si rovescia, facendo venire a galla ciò che prima era sommerso e seminando il caos, un caos nel quale molti purtroppo periscono tra flutti. “Conoscere per deliberare” era un motto di Luigi Einaudi che considero particolarmente saggio ed importante. La nostra speranza è che, sulla base dei dati che a breve saranno disponibili e delle tante esperienze che chi lavora con l’emarginazione ha in questo tempo accumulato, nei prossimi anni tutte le istituzioni competenti, da quelle locali a quelle europee, da quelle sociali a quelle economiche, possano finalmente formare un’alleanza per realizzare un nuovo modello di sviluppo comunitario che porti in sé, a differenza dell’attuale, l’obiettivo strutturale di non produrre povertà ed emarginazione e di conseguire inclusione sociale per tutti, nel rispetto delle differenze di ciascuno.
A Suo avviso quali politiche di welfare sono necessarie per contrastare efficacemente la crescente povertà ed emarginazione adulta e il connesso, drammatico fenomeno sociale delle persone senza dimora? 
Come ho detto, serve un cambio di paradigma nel modello di sviluppo complessivo, che riporti il valore della persona al centro e sia capace di portare a valore tutte le persone. Non è un risultato che si consegue da un giorno all’altro e serve il concorso di moltissimi fattori. Nell’ambito dell’emarginazione tuttavia un buon primo passo nel nostro Paese potrebbe essere quello di implementare un sistema dignitoso di reddito minimo di cittadinanza, non inferiore ai 500 euro mensili, insieme alla esigibilità del diritto all’alloggio (esistono Paesi in Europa, come la Finlandia o la Francia, dove per legge si riconosce il diritto di tutti a non dover essere costretti a trascorrere più di una notte all’addiaccio) ed all’accessibilità del diritto all’accompagnamento sociale da parte di servizi professionali di adeguata capacità. Tutto questo ha un costo e richiede impegno e volontà politica, più o meno quante ne servono per acquistare e mantenere in servizio una cinquantina di caccia militari d’attacco F35. Purtroppo dobbiamo constatare che al momento la volontà politica di fare quanto serve per il primo obiettivo manca, mentre di caccia F35 ne possederemo quasi cento. Si tratta di scelte, e dietro ogni scelta c’è una responsabilità che è stata esercitata e che, in una libera democrazia autentica, dovrebbe rispondere agli elettori delle proprie azioni. Perché nessuno risponde per lo scandalo della povertà? Credo che la risposta tocchi a ciascuno di noi.

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