la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

domenica 29 agosto 2010

Caso Schifani - ?Meglio non far sapere?



Dom. 29.08.2010 - Dal sito web de "il Fatto Quotidiano" (29.08.2010), un articolo di Marco Travaglio.

" Sempre più difficile. Dopo aver censurato lo scoop dell’Espresso sulle nuove accuse di mafia lanciate da Spatuzza a Schifani, la libera stampa italiana si è vista costretta a censurare anche la replica del presidente del Senato alle accuse di Spatuzza. xxx

xxx E’ tutto collegato, come spiegava il mitico professor Sassaroli all’architetto Melandri che chiedeva la mano di sua moglie Donatella nel film Amici miei, sbolognandogli tutto il cucuzzaro: “Vede, è tutta una catena di affetti che né io né lei possiamo spezzare. Lei ama mia moglie. Mia moglie è affezionata alla bestia, il cane Birillo, che mangia un chilo di macinato al giorno, un chilo e mezzo di riso e ogni mattina bisogna portarlo a orinare alle 5 sennò le inonda la casa. Birillo adora le bambine. Le bambine sono attaccatissime alla governante, tedesca, due anni di contratto, severissima, in uniforme. Insomma, chi si prende Donatella si prende per forza tutto il blocco”.

Ecco, chi censura lo scoop dell’Espresso innesca una catena di censure che nessuno può spezzare: gli tocca censurare tutto il blocco. Spatuzza dice che Schifani era il trait d’union tra i Graviano e Berlusconi & Dell’Utri. In un colpo solo si beve il presidente del Senato, il presidente del Consiglio e il senatore che inventò Forza Italia. Passi per Dell’Utri e i Graviano, che ci sono abituati: ma come si fa a dare una notizia che accosta B. e Schifani a Cosa Nostra senz’aver mai scritto un rigo in materia? Dandola, si dovrebbe accompagnarla con un commentino, tipo quello in cui tre mesi fa un giornale a caso, il Corriere della sera, chiedeva conto e ragione a Di Pietro di una foto del ’92 che lo ritraeva a cena con una decina di ufficiali dei carabinieri e con Bruno Contrada, all’epoca numero 3 del Sisde e non ancora arrestato per mafia. O tipo quello in cui un mese fa un giornale a caso, il Corriere della sera, chiedeva conto e ragione al presidente della Camera Fini di un alloggetto affittato dal cognato a Montecarlo. E una richiesta di spiegazioni a Schifani e a B. non basterebbe ancora a pareggiare il conto, visto che è impossibile paragonare un’inchiesta per mafia con una foto con Contrada e con un alloggetto di 65 metri quadri. Dopodichè un giornale a caso – poniamo sempre il Corriere, ma anche Repubblica – dovrebbero spiegare perché attaccarono un giornalista, di cui ci sfugge il nome, che due anni fa raccontò in tv gl’imbarazzanti trascorsi societari di Schifani con vari tipetti poi condannati per mafia.


Meglio dunque ignorare la notizia (come fa il Corriere) o nasconderla in un trafiletto a pagina 25 (come fa Repubblica). E, l’indomani, censurare il comunicato di risposta del presidente del Senato (come fanno sia il Corriere sia Repubblica sia tutti gli altri giornali e tg d’Italia, a parte Il Fatto).

Tutto ciò avviene in una sedicente democrazia dove, non appena un politico tira una scoreggina, emette un ruttino, dichiara che oggi piove o tira vento, plotoni di telecamere e cronisti da riporto si precipitano a raccogliere e a rilanciare urbi et orbi la scoreggina, il ruttino e la dichiarazione.

Anni fa Schifani, allora capogruppo di Forza Italia, diramò un comunicato per rivelare che, non trovando un tavolo libero al ristorante, aveva “fatto la coda come un cittadino qualunque”. Notizia epocale, subito ripresa con ampio risalto dal Corriere. Di recente, quando un lieve terremoto ha scosso le isole Eolie, giornali e tg pendevano letteralmente dalle labbra dello Schifani, che in quel momento passava di lì sul suo veliero, a riprova del fatto che le disgrazie non vengono mai sole.

Poi la seconda carica dello Stato chiede di essere interrogata dalla Procura di Palermo sulle accuse di mafia che gli lancia Spatuzza e nessun organo d’informazione lo scrive, così nessun cittadino lo viene a sapere, salvo i fortunati lettori del nostro giornale.

Gentile presidente del Senato, accetti un consiglio da amici: la prossima volta che vuol parlare dei suoi rapporti con la mafia, lasci perdere i comunicati stampa. Ci dia un colpo di telefono: facciamo prima. " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

Renato Schifani e i fratelli Graviano (mafiosi e stragisti). ?Quali contatti?



Dom. 29.08.2010 - Dal sito web de "il Fatto Quotidiano" (26.08.2010).

" Nei verbali di Spatuzza la storia di Schifani
che fece da tramite tra Berlusconi e i Graviano


La notizia sarà pubblicata sul numero dell'Espresso in edicola domani. Le dichiarazioni dell'ex killer di Brancaccio sono al vaglio della procura di Palermo. Il senatore non risulta indagato

Ci fu un tempo in cui il senatore Renato Schifani non si occupava di politica. Faceva l’avvocato, civilista, e in questo ruolo agganciò spregiudicate conoscenze con uomini vicini a Cosa nostra. Erano i tempi in cui esibiva con orgoglio l’ormai mitico riporto in testa. Anni Ottanta, inizi dei Novanta. Epoca in cui l’allora intraprendente legale, che da lì a poco sarà eletto nel collegio siciliano di Altofonte-Corleone, avrebbe ricoperto un ruolo di prestigio, mediando i rapporti tra i fratelli stragisti Filippo e Giuseppe Graviano, e il duo Berlusconi-Dell’Utri. La notizia viene riportata sul numero dell’Espresso in edicola domani. xxx

xxx A firmare l’articolo è Lirio Abbate, ex cronista dell’Ansa che l’11 aprile 2006 fu il primo a dare la notizia dell’arresto di Bernardo Provenzano. Si parla di “ombre inquietanti” che emergono dal passato. Di “spettri” ripescati dentro a trent’anni di storia di un uomo che ha girato i tribunali di mezza Italia difendendo i patrimoni dei boss mafiosi.

Ombre e sospetti riportati a galla dalle dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza. L’ex killer di Brancaccio, scrive l’Espresso, l’ottobre scorso davanti ai giudici di Firenze avrebbe parlato proprio di questo. Frasi messe subito a verbale e girate, per competenza, alla procura di Palermo. Documento top secret. Ma solo a metà. Una parte di queste pagine (le meno compromettenti) sono state messe agli atti del processo al senatore Marcello Dell’Utri (condannato a sette anni per concorso esterno).

Lo spunto, dunque, esiste. Saranno i magistrati a sviscerare il tema. Il procuratore Francesco Messineo ha già dato l’incarico agli aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci e ai sostituti Nino Di Matteo e Paolo Guido. Secondo quanto riporta l’Espresso, i magistrati hanno già messo a punto una strategia segnandosi le persone da sentire. Non c’è solo Spatuzza. Ma anche Francesco Campanella, ex segretario dei giovani dell’Udeur, già delfino di Mastella, ma soprattutto colletto bianco in nome e per conto della famiglia Mandalà. Quello stesso Campanella che grazie ai suoi appoggi nel comune di Villabate ha falsificato la carta d’identità con cui Provenzano è andato a Marsiglia per sottoporsi a esami clinici. L’elenco, però, prosegue e spunta il nome, al momento top secret, di un imprenditore condannato per riciclaggio che nominò lo stesso presidente del Senato socio in una sua impresa.

Insomma, l’ennesima gatta da pelare per Berlusconi e il suo stato maggiore. Nulla, ovviamente, è ancora stato scritto. Tantomeno Schifani risulta indagato. Ma su di lui pesa un’inchiesta (poi archiviata nel 2002) per associazione mafiosa. Indagato per tre volte, e per tre volte archiviato. Eppure le carte restano e come ha rivelato il Fatto, incastrano Schifani quantomeno a precise responsabilità politiche. A tirarlo in ballo è infatti il pentito Salvatore Lanzalaco per un appalto pilotato dalla mafia. Il sistema, come spiega Abbate, era semplice: “Lo studio di progettazione di Lanzalaco preparava gli elaborati per le gare, i politici mettevano a disposizione i finanziamenti, le imprese si accordavano, la mafia eseguiva i subappalti”.

Per Schifani, quindi, la situazione non è delle migliori. Con nuovi elementi d’accusa l’inchiesta potrebbe essere riaperta. E in questo caso gli elementi d’accusa pesano e non poco. Visto che Giuseppe Graviano è lo stesso che nel 1993 orgnizzò le stragi di Roma, Firenze e Milano e che subito dopo confidò a Spatuzza di essersi “messo il paese nelle mani” grazie alla colaborazione di Berlusconi e Dell’Utri.

La trinagolazione Graviano-Schifani- Berlusconi, a quanto scrive l’Espresso, parte, poi, da molto lontanto. Dagli anni Ottanta. Periodo in cui il presidente del Senato tra i suoi assistiti aveva Giovanni Bontate, fratello di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia ucciso a Palermo nel 1981 e che poco prima di morire era salito a Milano per investire 20 miliardi di lire. Denaro dei clan, di cui però si sono perse le tracce. E sotto la Madonnina, stando alla fonte anonima citata dal settimanale, Schifani ci veniva già a metà degli anni Ottanta per fare visita a Dell’Utri e al premier. Incontri cordiali in cui Berlusconi aveva il vezzo di chiamarlo “contabile”. Chissà perché? " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

venerdì 20 agosto 2010

Farepassato



Ven. 20.08.2010 - Dal sito de "il Fatto Quotidiano" (20.08.2010), uno scritto di Marco Travaglio, di commento ad un articolo di Filippo Rossi, di "Fare futuro", cfr. post precedente, --Una destra che vuole riacquistare dignità, finalmente grida "Il re è nudo"--. Cfr. pure il post --Se parte della destra apre gli occhi (solo oggi, colpevolmente)--.

" Sarebbe facile maramaldeggiare sui finiani di Farefuturo che, a 16 anni e mezzo dalla cacciata di Montanelli dal Giornale che aveva fondato e non voleva trasformare in quel che è diventato, riabilitano il grande Indro. Facile irridere alla scoperta tardiva della vera natura del berlusconismo: un mix di “dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l’avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti”. Facile farsi beffe di chi, dal 1994 a oggi, ha scambiato B. per un potenziale “grande politico e statista”, un “leader atipico ma liberale”. Facile ricacciare questa parte della destra italiana nelle fogne del neofascismo da cui molti suoi esponenti provengono. Facile, ma anche ingiusto. Per diversi motivi. xxx

xxx 1) Il brusco distacco, non solo politico ma anche culturale, dal Caimano e dalle sue putride paludi non è roba da voltagabbana a caccia di prebende e poltrone: anzi, se cercassero quelle, i finiani sarebbero rimasti con B., ben protetti dai suoi scudi giudiziari e mediatici, anziché offrire il petto ai suoi killer catodici e a mezzo stampa. Quando uno cambia idea, bisogna sempre controllargli la bottega e verificare se gli conviene o no. Ai finiani non conviene affatto, anzi conveniva restare dov’erano.

2) L’autocritica, almeno a giudicare dalle parole di Farefuturo, non è una disinvolta operazione di facciata, come quella di tanti che dall’oggi al domani cominciano a dire il contrario di quel che dicevano ieri, con l’aria spocchiosa dei maestri che hanno sempre ragione anche se hanno sempre avuto torto. Farefuturo riscrive il recente passato, confessa un “senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa”, riconosce che “oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea” e persino che “ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima?”, infine ammette che “non c’è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore”. Chi parla così merita un’apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d’informazione e legalità).

3) I finiani non si limitano a difendere Fini, ora che il killeraggio colpisce lui (troppo comodo), ma hanno il coraggio di ricordare il punto più basso del regime: “Il pensiero corre all’editto contro Biagi, Luttazzi e Santoro”. Citano cioè tre personaggi lontanissimi dal mondo della destra, che nel 2002 subirono insieme al loro pubblico l’affronto più sanguinoso: il divieto di lavorare in tv per averne fatto un “uso criminoso” (lesa maestà), divieto che per Luttazzi perdura tuttora.

4) L’autocritica non proviene dai killer, tutti rimasti per selezione naturale alla corte di B., ma da chi appunto ha taciuto per troppi anni sui killeraggi, senza osare “alzare la testa”, e ora che lo fa ne assaggia le prime conseguenze.

5) L’autocritica dei finiani, per quanto tardiva, è comunque in anticipo rispetto a tanti “intellettuali” sedicenti “liberali” e/o “terzisti” che da 16 anni tengono il sacco e fanno da palo a B. paraculeggiando e pompiereggiando con una finta indipendenza che è anche peggio del berlusconismo, perché non ci mette neppure la faccia. Per non parlare dei dirigenti e delle teste d’uovo del centrosinistra “riformista” e della sinistra “radicale” che hanno screditato il valore dell’antiberlusconismo come “demonizzazione” e “giustizialismo”, l’hanno sacrificato sull’altare delle bicamerali, del “dialogo” sulle “riforme condivise”, delle ospitate a Porta a Porta e dei libri Mondadori, non riuscendo o non volendo immaginare una destra diversa da quella abusiva di B. e garantendo lunga vita a B. Oggi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa una vasta e variopinta compagnia. I finiani, con tutte le loro magagne, lo stanno facendo mentre B. è vivo e potente. D’Alema & C. e il Pompiere della Sera aspettano il referto del medico legale. " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

Una destra che vuole riacquistare dignità, finalmente grida "Il re è nudo"



Ven. 20.08.2010 - Dal sito della Fondazione di Gianfranco Fini "Fare futuro" (19.08.2010), riporto un pezzo di Filippo Rossi.

" Speravamo che il berlusconismo non fosse come lo dipingevano i nemici, ma...
Non è una questione politica:
adesso, è una scelta di libertà

di Filippo Rossi

Eravamo convinti che fosse un semplice dibattito politico, il confronto tra due idee di centrodestra. Eravamo convinti che si trattasse di un normale dialogo tra idee diverse, opzioni diverse, leadership complementari. Eravamo sinceramente convinti che tutto potesse scorrere tranquillamente nei canali della democrazia interna a un partito. Era una sicurezza che derivava da una certezza cresciuta negli anni: Berlusconi non era il Caimano descritto dagli antiberlusconiani di professione; xxx

xxx Berlusconi era un leader atipico ma liberale; Berlusconi non era uno da "editti bulgari"; certo, Berlusconi aveva tante questioni personali e aziendali (quante se ne potrebbero elencare) ma era comunque un leader con una sogno, una lucida follia; Berlusconi, insomma, non era come lo descrivevano i suoi nemici. Ed é in base a queste certezze che lo abbiamo difeso per anni, sperando nella sua capacità di spiccare il volo e diventare un grande politico, uno statista.

Adesso è cambiato tutto e niente sarà più come prima. Perché nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida integralmente con le sue espressioni più appariscenti e drammaticamente caricaturali. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non coincida con il dossieraggio e con i ricatti, con la menzogna che diventa strumento per attaccare scientificamente l’avversario e magari distruggerlo. Nessuno ci potrà più convincere che il berlusconismo non si nutra di propaganda stupida e intontita, di slogan, di signorsì e di canzoncine ebeti da spot pubblicitario. Ma tanto non ci proveranno nemmeno, a convincerci.

E, purtroppo, il pensiero corre agli eventi passati, all'editto contro Enzo Biagi, contro Daniele Luttazzi, contro Michele Santoro. Il pensiero corre ai sensi di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa. E oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea. Oggi ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima? Non c'è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Un vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore.

Eravamo convinti che tutto fosse un semplice dibattito politico. Sbagliavamo. È molto, molto di più. È una questione di civiltà. Di democrazia. E di libertà. Questioni forse più grandi di noi, che impongono una scelta difficile. Intendiamoci, tutto questo poi non impedisce la “politica”, non impedisce di assumersi la responsabilità di trovare accordi per governare il paese. Si parla d’altro. Si parla di qualcosa di più. Perché quello che abbiamo visto in questi ultimi tempi, tra documenti di espulsione e attacchi sguaiati alle istituzioni che sembrano concepite come proprietà privata e non come bene pubblico, relazioni internazionali di dubbio gusto e killeraggi mediatici, per non parlare delle questioni etiche trasformate in propaganda di partito, ecco, tutto questo dimostra che c’è una distanza culturale prima di tutto. E che la scelta, a questo punto, è se stare o meno dalla parte di una politica che si possa dire davvero laica e liberale.
19 agosto 2010 " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

sabato 14 agosto 2010

Marco Travaglio, l'obiettività dei fatti



Sab. 14.08.2010 - Riporto a seguire un pezzo di Giulio Neri, apparso sul sito della Fondazione di Gianfranco Fini "Fare futuro" (13.08.2010), dove l'autore, con riferimento ad un articolo di Marco Travaglio (da me riportato nel post "il -cainano- in azione"), ne elogia l'obiettività e la lucidità.

" Non è una colpa riconoscere l'obiettività dove c'è, ma dovrebbe far riflettere
Quel paradosso
di condividere Travaglio
di Giulio Neri

Paradosso, dal greco parà (contro) e doxa (opinione), indica usualmente una proposizione formulata in contraddizione con l’esperienza comune o con i propri principi elementari della logica ma che, sottoposta a rigorosa critica, si dimostra valida. Ecco è un paradosso trovarsi a leggere un pezzo di Marco Travaglio, per l’esattezza quello pubblicato ieri sul Fatto Quotidiano, e pensare che riporta esattamente ciò che andava scritto e lo fa con obiettività e lucidità invidiabili e purtroppo anche introvabili su molta altra stampa. xxx

xxx È infatti questo il pensiero che nasce spontaneamente leggendo le parole del giornalista del Fatto che raccontano di notizie che «opportunamente pompate, manipolate e decontestualizzate diventano enormi». E di un «copione» che è «lo stesso collaudato negli anni contro chiunque abbia osato mettersi di traverso sulla strada di B.: Di Pietro e gli altri pm del pool di Milano, Ariosto, Bossi, Veronica, D’Addario, Persino Casini e Boffo». «Il dossier Montecarlo usato contro Fini – scrive ancora Marco Travaglio con amara lucidità – ricorda il dossier Gorrini usato contro Di Pietro per farlo dimettere dal pool nel ’94 e trascinarlo sotto processo a Brescia nel ’95. I fatti sono veri: Di Pietro accetta un prestito da un amico, poi lo restituisce; Fini fa vendere un alloggetto ereditato da An che finisce a due società offshore, una delle quali l’affitta al “cognato” di Fini».


Poi Travaglio continua a dire di come sia pure giusto che certe «leggerezze» siano fatte conoscere alla gente, purché, però, si faccia in modo che i fatti siano sempre «misurati col metro della loro gravità intrinseca (scarsa) e del contesto in cui avvengono (una classe politica inquinata da mafie, corruzioni e malversazioni di ogni genere)». Perché «una pulce – scrive Travaglio ricorrendo a un’efficace metafora animale – dovrebbe restare una pulce e un elefante un elefante».

Ma ciò non accade, e «le pulci diventano elefanti e gli elefanti pulci». Il che è per Travaglio «la miglior prova su strada del conflitto d’interessi e del perché nessuno ha mai osato né mai oserà estirparlo». Tant’è che, articola con una logicità disarmante, «chi resta sotto l’ombrello protettivo di B. può fare qualunque cosa, anche la più terribile, e godrà sempre di totale ed eterna protezione». «Capiterà – prosegue – che un raro giornale estraneo alla banda ne sveli le malefatte, ma esse resteranno confinate su quelle pagine e ben presto evaporeranno: nessuno le riprenderà per farne un caso. Se invece uno s’azzarda ad allontanarsi dall’ombrello, i cecchini sparano a vista. Se il tizio ha una pagliuzza nell’occhio, la trasformano in trave. Se non ha pagliuzze, gl’inventeranno una trave». Sarà pure un paradosso condividere una per una tutte le parole di Travaglio, ma se in lui si ritrova la voce più obiettiva non possiamo farcene noi una colpa. Piuttosto, sarebbe il caso di rifletterci su.

13 agosto 2010 " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

Se parte della destra apre gli occhi (solo oggi, colpevolmente)



Sab. 14.08.2010 - Dal sito della Fondazione di Gianfranco Fini "Fare futuro" (14.08.2010), riporto un pezzo di Filippo Rossi.

" E si sa che i delusi possono essere i peggiori nemici...
Ecco perché può nascere
una destra anti-berlusconiana

di Filippo Rossi

Accade spesso: quella che è solo una possibilità della storia, diventa – per abitudine, per pigrizia, per comodità, per forza d’inerzia - l’unica, la sola possibilità. La sola prospettiva immaginabile. Ecco cosa è successo per il centrodestra italiano, ecco l’illusione: oltre Berlusconi, il nulla. Senza Berlusconi, il vuoto. xxx

xxx Eppure la destra c’era prima di Berlusconi e ci sarà dopo di lui, su questo non ci piove. Una destra non-berlusconiana, insomma, esiste. Una destra che non vive di chiamate alle armi, di “scelte di campo”, di spettri “comunisti”. Una destra che non confonde la politica con l’imprenditoria, che non affonda nel populismo, che accetta la divisione dei poteri, che non brama l’onnipotenza e non adotta categorie feudali come la “fedeltà al capo” e il “tradimento”. Una destra serena, libera, democratica, laica. Una destra che si è accorta che il Muro di Berlino non c’è più. Una destra che naviga in mare aperto. Una destra – per riprendere la provocazione di Fabio Granata – non ha nemmeno paura di immaginarsi pronta a parlare, per il bene del paese, con la tanto odiata “sinistra”. Esiste. E abbiamo provato a darle voce, in questi lunghi mesi.

Ma c’è un passaggio successivo. Un passaggio che pesa dover fare. Un passaggio che forse si poteva evitare, limitandosi appunto a scrivere la storia di una destra non-berlusconiana. Ed è il passaggio verso una destra anti-berlusconiana. Questo sì che sarebbe un trauma, a suo modo. Eppure la deriva cui assistiamo in questi giorni, la stampa di famiglia che diventa il fuoco di fila utile a massacrare il nemico, lo svilimento della Costituzione, il fango e gli insulti personali che arrivano dai cortigiani delle ultime file, le continue intimidazioni contro i “congiurati”, i dossier, le compravendite parlamentari, le velate minacce al capo dello Stato, i tristi e pericolosi richiami alla piazza, ecco, tutto questo rischia di portare proprio lì. Perché quel “sistema”– che pure abbiamo sentito vicino, a tratti – ora lo sentiamo sulla nostra pelle. Ne odoriamo i veleni. Lo vediamo per quel che è: un sistema di potere senza contenuto, fine a se stesso.

C’è chi lo aveva già capito un po’ di tempo fa. Indro Montanelli, per esempio. Ma in tempi più recenti, i toni e i contenuti espressi da alcuni esponenti “berlusconiani” nel corso della vicenda Englaro, hanno segnato, per qualcuno, l’inizio di questo passaggio. E di esempi se ne potrebbero fare tanti: dalla legge bavaglio alle amicizie con Putin e Gheddafi. Senza dimenticare le leggi ad personam e ad aziendam. Ma ora quel passo è sempre più vicino. Sta diventando inevitabile. L’illusione – come ricordava ieri sul nostro web magazine Domenico Naso – di baciare il rospo e vederlo trasformarsi in principe, si è dissolta drammaticamente. E i delusi, si sa, possono diventare i nemici peggiori. Insomma, la nascita di una destra orgogliosamente e rigorosamente anti-berlusconiana rientra sempre di più nel novero delle possibilità della storia, adesso.

14 agosto 2010 " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

giovedì 12 agosto 2010

Berlusconi e i soldi alla mafia



Gio. 12.08.2010 - Dal sito de "il Fatto Quotidiano" (11.08.2010).

" Quei 100 milioni da Berlusconi alla mafia

Il quotidiano di via Solferino rivela: Massimo Ciancimino ha consegnato ai giudici un 'pizzino' del 2001 del padre Vito che documenterebbe passaggi di contante da distribuire ai vertici di Cosa Nostra

Cento milioni di vecchie lire versati da Silvio Berlusconi alla mafia nel 2001. La relazione pericolosa per il premier sarebbe documentata in un pizzino consegnato da Massimo Ciancimino ai magistrati, secondo quanto rivelato oggi dal Corriere della Sera. Nel foglio dattiloscritto ma accompagnato da annotazioni autografe di don Vito che si riferisce al boss Bernardo Provenzano con l’appellativo di ragioniere, si fa esplicitamente il nome del presidente del Consiglio. xxx

xxx Scrive l’inviato Felice Cavallaro: il testo è top secret ma chi lo ha letto così sintetizza evocando conteggi in vecchie lire: ‘dei 100 milioni ricevuti da Berlusconi, 75 a Benedetto Spera e 25 a mio figlio Massimo’. E poi: ‘Caro rag. Bisogna dire ai nostri amici di non continuare a fare minchiate … e di risolvere i problemi giudiziari”. Il pizzino sarebbe stato scritto dal padre, secondo Massimo Ciancimino, nella seconda metà del 2001, dopo il voto del 13 maggio per le elezioni nazionali e del 24 giugno per la Regione siciliana con la doppia vittoria schiacciante di Silvio Berlusconi e di Totò Cuffaro. Don Vito chiede al capo della mafia di intervenire sui politici usciti vittoriosi dalle elezioni chiedendo di “non fare minchiate” ingiustificate alla luce dei “numeri” della vittoria: 61 seggi a zero per il centrodestra in Sicilia.

Massimo Ciancimino ha consegnato il pizzino insieme a una cartellina piena di lettere e documenti che sarebbe stata trovata a casa della madre, la signora Epifania. Mamma e figlio sono stati sentiti nei giorni scorsi dai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo sul contenuto del pizzino e in particolare la signora Ciancimino avrebbe inserito questa novità in un rapporto consolidato che risaliva a trenta anni prima: “mio marito si incontrava negli anni settanta con Berlusconi a Milano”, avrebbe detto la signora aggiungendo con un pizzico di disappunto: “ma alla fine Vito si sentì tradito dal Cavaliere”.

Il rapporto Ciancimino-Berlusconi non è una novità assoluta delle indagini palermitane. Le prime tracce risalgono a una serie di relazioni della Polizia degli anni ’80 in cui si descrive la figura di Marcello Dell’Utri e il suo legame con un collaboratore di Ciancimino, l’ingegner Francesco Paolo Alamia. Mentre già nel 2004, in una telefonata intercettata dalla Procura di Palermo tra Massimo Cinacimino e la sorella Luciana, il figlio di don Vito sosteneva che esistesse un assegno di 25 milioni di lire da parte di Silvio Berlusconi a beneficio del padre.

Anche su questo punto Massimo Ciancimino ha offerto nuovi chiarimenti ai pm nei giorni scorsi: si sarebbe trattato in realtà di soldi in contanti che lui stesso avrebbe ritirato da un amico del braccio destro di Provenzano, Pino Lipari.

Il fatto che Massimo Ciancimino abbia in due occasioni ricevuto decine di milioni di lire dal boss Provenzano o dai suoi amici sta modificando la posizione giuridica del “testimone assistito”. Probabilmente la Procura di Palermo sta valutando la sua iscrizione sul registro degli indagati per favoreggiamento. Un elemento che però paradossalmente rafforza la credibilità delle sue affermazioni autoindizianti.

I rapporti tra il gruppo Berlusconi e la mafia comunque non sono una novità assoluta. A parte la condanna nel processo di appello contro Marcello Dell’Utri (nel quale comunque le dichiarazioni del figlio di don Vito non sono state recepite perché considerate contraddittorie e a rate) già nelle indagini degli anni novanta sulla famiglia mafiosa di San Lorenzo erano emerse le prove documentali dei versamenti della Fininvest a titolo di “regalo” ai boss. Nel libro mastro del pizzo, sequestrato al clan, era stata trovata la dicitura “Can 5 5milioni reg”.

I collaboratori di giustizia avevano spiegato che a partire dagli anni ’70, prima attraverso Vittorio Mangano e poi per tramite dell’amico di Dell‘Utri, Gaetano Cinà, ogni anno il Cavaliere faceva arrivare soldi alla mafia.

Non si trattava però di tangenti, ma di doni fatti per mantenere i buoni rapporti. Il boss di Porta Nuova, Salvatore Cancemi, aveva aggiunto di aver visto il contante proveniente da Arcore ancora nel 1992. La trafila del denaro allora prevedeva che i soldi di Berlusconi finissero nelle mani dell’allora capo dei capi Totò Riina per poi essere suddivisi tra le varie famiglie mafiose.

Ora, se autentico, il nuovo pizzino conferma che quell’abitudine non finì con la discesa in campo del Cavaliere. Tanto che altri regali in contanti sarebbero arrivati al successore di Riina. Un fatto che, se provato, spiega bene perché Berlusconi nel 2006 fu l’unica carica istituzionale italiana a non complimentarsi per la cattura di Provenzano. " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo

il "cainano" in azione



Gio. 12.08.2010 - Dal sito de "il Fatto Quotidiano" (12.08.2010), un pezzo di Marco Travaglio.

" Fini giustifica i mezzi

Come racconta l’ex avvocato di Luciano Gaucci, a maggio un suo collega che lavora per l’ex presidente del Perugia ma anche per B. ramazza le carte della causa civile tra il cliente e l’ex compagna Elisabetta Tulliani. Carte che, al momento opportuno (una settimana fa, all’indomani della cacciata di Fini dal Pdl), finiscono sul Giornale della famiglia B. xxx

xxx Il copione è lo stesso collaudato negli anni contro chiunque abbia osato mettersi di traverso sulla strada di B.: Di Pietro e gli altri pm del pool di Milano, Ariosto, Bossi, Veronica, D’Addario, persino Casini e Boffo. Talvolta le notizie sono vere ma insignificanti, però opportunamente pompate, manipolate e decontestualizzate diventano enormi. Altre volte si mescola il vero al falso. In certi casi, alla disperata, s’inventa e basta. Il dossier Montecarlo usato contro Fini ricorda il dossier Gorrini usato contro Di Pietro per farlo dimettere dal pool nel ’94 e trascinarlo sotto processo a Brescia nel ’95. I fatti sono veri: Di Pietro accetta un prestito da un amico, poi lo restituisce; Fini fa vendere un alloggetto ereditato da An che finisce a due società offshore, una delle quali l’affitta al “cognato” di Fini. Entrambe le faccende non costituiscono reato (ma apposite denunce innescano indagini della magistratura, destinate fra qualche mese all’archivio), né investono denari o cariche pubbliche. Ma sono leggerezze: un pm non deve accettare prestiti, un politico non deve consentire a membri della propria cerchia familiare di beneficiare del proprio potere. Giusto, dunque, che la gente conosca i fatti. Che però vanno misurati col metro della loro gravità intrinseca (scarsa) e del contesto in cui avvengono (una classe politica inquinata da mafie, corruzioni e malversazioni di ogni genere). Una pulce dovrebbe restare una pulce e un elefante un elefante. Ma in Italia l’elefante il padrone dell’informazione, così le pulci diventano elefanti e gli elefanti pulci.

Ieri il Corriere dedicava le pagine 1, 8, 9, 10, 11 a Fini & cognato, confinando a pagina 25 una notizietta da niente: un appunto di Vito Ciancimino, consegnato ai pm dalla vedova, su finanziamenti di Berlusconi a Provenzano (titolo: “Mafia, Ciancimino jr tira in ballo il premier”, così è impossibile capire che si tratta di un documento, non di parole al vento). E’ la miglior prova su strada del conflitto d’interessi e del perché nessuno ha mai osato né mai oserà estirparlo.

Chi resta sotto l’ombrello protettivo di B. può fare qualunque cosa, anche la più terribile, e godrà sempre di totale ed eterna protezione. Capiterà che un raro giornale estraneo alla banda ne sveli le malefatte, ma esse resteranno confinate su quelle pagine e ben presto evaporeranno: nessuno le riprenderà per farne un caso. Se invece uno s’azzarda ad allontanarsi dall’ombrello, i cecchini sparano a vista. Se il tizio ha una pagliuzza nell’occhio, la trasformano in trave. Se non ha pagliuzze, gl’inventeranno una trave. Si cerca un personaggio in rovina, dunque disperato (ieri Gorrini e D’Adamo, ora Gaucci), gli si fa balenare un futuro radioso sotto l’ombrello, e non c’è neppure bisogno di spiegargli cosa ci si attende da lui: lo capisce da solo.

I giornali e i tg della ditta (quasi tutti) rilanciano le sue accuse come un sol uomo, anche perché l’informazione politica è ridotta a collage di dichiarazioni di politici, e tutti i politici di B. hanno ordine di ripetere sempre le stesse accuse fino alla noia. Giornali e tg non della ditta, per non sfigurare, le riprendono, magari tentando di riportarle alle giuste dimensioni, ma vengono subito tacciati di censura, con inviti ai loro lettori a non acquistarli e agli inserzionisti a ritirarne la pubblicità.

La solita Procura di Roma, che dorme sonni profondi sulle inchieste a carico di B. (Trani), si scatena con indagini, blitz, rogatorie anche se non si capisce bene dove stia il reato. E subito gli house organ pronti a titolare: “La Procura indaga”. Ergo – sottinteso – c’è del marcio in casa Fini. Se invece una procura indaga su evidenti reati di B., è la prova che B. è perseguitato, dunque innocente. " xxx

Per leggere l'intero post fare clic sul titolo