la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

lunedì 31 marzo 2008

Certa politica che scende a patti e usa la mafia - Certa politica che è mafia - Certa politica con le mani sporche di sangue


Renato Guttuso, Portella della Ginestra, 1953
(Strage del 1° maggio 1947)


Dal Blog di Piero Ricca (clic qui), riporto la trascrizione sintetica dell’intervento tenuto l’altro giorno dal magistrato palermitano Antonio Ingroia alla presentazione del saggio “La Sicilia delle stragi” (a cura di Giuseppe Carlo Marino - Newton Compton Editori).

“Della mafia ci sono narrazioni fuorvianti, mistificate e semplicistiche. Penso ad esempio alle numerose fiction televisive, che non rendono un buon servizio ai cittadini. La storia della mafia è storia di verità negate. Penso alle stragi di mafia, le quali sono in gran parte impunite. O non sufficientemente punite. Nella migliore delle ipotesi si sono scoperti gli esecutori materiali e gli organizzatori, ma non si è individuata la trama più complessa. Quella trama che permette di individuare le menti delle operazioni, di mettere in fila i singoli episodi stragisti, di percepire il filo che li lega al di là delle singole contingenze.


E qual è verosimilmente questa trama? Una classe dirigente – e la mafia è parte della classe dirigente siciliana – che ha contrattato, usando la violenza, spazi di potere, autorevole, potere centrale. La “trattativa” tra mafia e Stato è una costante, viene da lontano. Possiamo dire che lo stragismo mafioso, fin dalle origini della prima Repubblica, ha a che fare con una lunga e costante trattativa che ha per oggetto la spartizione del potere sul territorio. La mafia è un fenomeno interclassista: i suoi cervelli sono spesso appartenenti alla buona borghesia. Non è un caso che tra i capi famiglia o capi mandamento di cosa nostra vi siano stati medici, ingegneri, avvocati, professionisti, politici. E non sorprende che la “borghesia mafiosa” abbia avuto un ruolo fondamentale nel dettare le strategie militari della mafia stragista. E’ dunque un’intollerabile semplificazione parlare oggi, di fronte ai pur importanti risultati raggiunti sul piano repressivo, cioè la cattura di molti boss, di crisi della mafia o di mafia in ginocchio. Non solo i dati investigativi di cui può disporre un magistrato come me, ma i dati che sono sotto gi occhi di tutti ci dicono al contrario che siamo di fronte ad una fase di trasformazione del sistema di potere mafioso. Una trasformazione che passa anche attraverso l’esaurimento della fase precedente, incentrata sulla logica della trattativa e della contrapposizione violenta per la conquista di spazi di potere, la cosiddetta “fase corleonese”.

La storia dei Riina, dei Provengano, dei Bagarella, cioè dei capi più sanguinari dell’organizzazione mafiosa, è solo una parentesi in una storia lunga varie generazioni. È una fase che ha avuto un inizio e una fine. Una fase che ha avuto un esito fallimentare dal punto di vista dei protagonisti, i quali sono tutti in galera, seppelliti da numerosi ergastoli. Ma non del tutto negativo sul piano generale, dal punto di vista degli interessi dell’organizzazione mafiosa, perché le ha consentito di superare un periodo di crisi e di difficoltà, traghettandola in una nuova fase, l’attuale, che in parte è di ritorno al passato. Non c’è più il delirio di onnipotenza antagonista che aveva caratterizzato l’azione di Riina, poi superato da Provenzano, il quale secondo le risultanze più attendibili è uno dei registi della “trattativa”.

Oggi la mafia è mafia degli affari e della finanza. Questa mafia, è vero, attraversa una fase di difficoltà sul piano militare e del controllo del territorio, come pure sul piano internazionale (la ‘ndrangheta, per esempio, oggi è più forte di Cosa nostra nei traffici internazionali di droga). E tuttavia ha conquistato una maggiore capacità di investimento dei capitali illeciti. Cosa nostra investe di più e meglio rispetto a venti anni fa, quando investiva soprattutto in beni immobili. Come notava già Falcone, la mafia è entrata in Borsa negli anni ottanta. E in Borsa ci è rimasta investendo e ricapitalizzando sempre meglio gli immensi flussi di denaro. Per questo è più stretta la dipendenza dai consulenti, dai professionisti della “borghesia mafiosa”, la quale oggi ha un ruolo strategico molto più forte.

Ecco perché, se possiamo stare più tranquilli sul piano dell’ordine pubblico, siamo invece in una fase più insidiosa, poiché si è rafforzata la capacità di inquinamento della politica e dell’economia. Dare messaggi tranquillizzanti è sbagliato. La mafia non è affatto alle corde. Semmai è il momento di rilanciare con decisione l’azione di contrasto, anche repressivo.

E qui i nodi vengono al pettine: il rapporto fra mafia e politica è, prima di tutto, la promiscuità fra mafia ed economia. I voti della mafia servono alla mafia, i soldi della mafia servono all’economia. In tempi di globalizzazione dei mercati è in corso un processo di integrazione e globalizzazione dell’economia mafiosa. Ma una mafia che non spara, limitandosi a fare affari, è forse più accettabile? Inutile dire che così non è, ma occorre incidere su un clima di diffusa acquiescenza e indifferenza rispetto a questo problema.

L’altra domanda che non si può eludere è questa: possiamo edificare un futuro credibile per il nostro Paese senza fare i conti con le verità negate sulle stragi mafiose che stanno alla base sia della Prima Repubblica (Portella della Ginestra), sia della Seconda Repubblica (biennio stragista 92-93)?

Personalmente non credo molto alle verità emergenti dalle commissioni parlamentari. Tuttavia è un dato di fatto inquietante che mai si è pensato di costituire una commissione parlamentare con il compito di indagare sul biennio stragista e sulla “trattativa”. Io non credo che si possa costruire una Repubblica dalle fondamenta solide se non si fa chiarezza sul sangue delle stragi del 92-93 e sulla trattativa fra Cosa nostra e settori dello Stato.

Mi si domanda con quale stato d’animo, da uomo dello Stato, io viva questo impegno di magistrato antimafia, se una parte dello Stato è colluso con la mafia. E rispondo: io credo che si possa operare anche dentro uno Stato che ha tali connivenze e timidezze nei confronti della mafia, innanzitutto con un senso di consapevolezza di fondo che la questione del confronto fra mafia e antimafia non è uno scontro fra Stato e anti-Stato. L’impostazione di rappresentare la mafia come qualcosa di estraneo allo Stato, nella logica del rapporto fra guardia e ladri, è vecchia e fuorviante. Non essere lucidamente consapevoli che la mafia ha forte capacità di infiltrazione nello Stato espone al rischio di fallimenti. Noi però dobbiamo guardare anche fuori dallo Stato, alle componenti sane della società che sono ugualmente fondamentali, certo in una prospettiva di non breve scadenza, per la costruzione di qualcosa di nuovo.

Certo, l’azione repressiva non basta, occorrono serie riforme legislative. Se mi si chiede un parere sulle priorità, provo a rispondere in questo modo.
1 – I tempi della giustizia sono intollerabilmente lunghi. Soltanto con una giustizia efficiente si può sperare di ottenere risultati sul fronte repressivo e di conquistare la fiducia dei cittadini. Fino ad ora nessun governo ha fatto qualcosa di serio per incidere su questo problema.
2 – Il Testo Unico delle norme antimafia: se ne discute da decenni, credo che sia ora che il nuovo Parlamento – se c’è la volontà politica di farlo – si assuma la responsabilità di aggiornare e unificare tutto lo strumentario normativo antimafia, che ormai è vecchio e superato. Per esempio tutta la normativa in materia di riciclaggio e di contrasto all’economia mafiosa è assolutamente insufficiente e inadeguata, ed è il motivo per cui in Italia ci sono pochissimi procedimenti per riciclaggio.
3 – Nel Testo Unico andrebbe riformulata tutta la gestione dei beni confiscati, con l’istituzione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati.

Ma al di là delle pur necessarie riforme normative, occorre ritrovare la volontà collettiva di fare verità e giustizia, a cominciare dalle stragi di mafia, perché senza questa volontà collettiva, come dimostra la storia dell’antimafia, neanche la magistratura riesce a scoprire la verità. Tutti i momenti nei quali si sono raggiunti dei risultati sul piano giudiziario sono stati momenti di conquista collettiva, il frutto di un ampio movimento di opinione, di pressione. Senza volontà collettiva non c’è verità e giustizia; senza verità e giustizia siamo di fronte a una società che non ha futuro.”

Nessun commento: