la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

sabato 27 dicembre 2008

L'Italia del leviatano



Da "La Repubblica" del 12.12.2008 un articolo di Franco Cordero.

"L'ITALIA DEL LEVIATANO

L’ammalato grave era l’Impero ottomano, poi s’ammala l’absburgico, d’un morbo letale: affondano tutt’e due; da anni versa in allarmante climaterio la Rutulia, paese piccolo, ormai quasi trascurabile (quarantesimo nella graduatoria dello sviluppo economico planetario, dopo Estonia e Thailandia), ma trascina resti d’antiche glorie.

«Stylus» (rivista chic, sognata da EdgarAllan Poe) vuol sapere cosa succede, ed ecco le notizie.

Cominciamo dal 26 gennaio 1978.

L’ambiente soffre d’una tabe organica: la pianta uomo ne produce d’assai dotati; altrove riuscirebbero benissimo; qui soccombono perché ab immemorabili ordiscono la tela consorterie parassitarie, donde micidiali selezioni negative (remote anamnesi chiamano in causa la mancata riforma religiosa e un cinico ateismo clericocratico).xxx

Organi vitali risultano guasti: sotto maschera santimoniosa una società segreta criminal-massonica infesta servizi segreti, ministeri, banche, editoria; e quel giovedì riceve un ancora poco noto impresario edile la cui fortuna presenta aspetti bui.

I dignitari l’accolgono col solito rituale, spada e guanti bianchi.

Chiamiamolo Leviathan, nome d’un coccodrillo.

Nel dialogo del Creatore con Giobbe è una meraviglia del creato: veste squame invulnerabili, starnuta fuoco, spaventa gli angeli; impersona una potenza infraumana.

Ai caimani, formidabili nell’anima sensitiva, manca l’intellettiva: non ne hanno bisogno, tanto perfetta è la macchina biofisica coordinata alle pulsioni, né patiscono conflitti interni; il loro cervello ignora i valori (vero, buono, bello), nel cui faticoso studio l’animale fornito d’intelletto spende tanto tempo con profitto esiguo o addirittura in perdita.

Questo neofita d’una compagnia losca stava sommerso ed erompe nel mercato delle televisioni commerciali affossando i concorrenti.

L’irresistibile ascesa ricorda le mosse con cui l’alligatore avvista, punta, azzanna le prede.

Ha tre gole, come il lupo d’una favola, e stomaco senza fondo: parla, ride, canta, stordendo chi l’ascolta; nel suo lessico, «vero», «buono», «bello» significano «roba da inghiottire».

Questo meccanismo biologico gli assicura atouts determinanti nelle partite rutule, fuori delle quali i colpi gli riescono male: Satanasso teme l’acqua santa; lui sparisce dove vigano regole applicate sul serio.

Indenne da freni morali, percepisce solo bisogni e li soddisfa nella massima misura, al minimo costo: non rispetta nessuno; imbrogliai diavoli; prende Domineddio sotto gamba; se il caso lo richiede, delinque impunito, truccando i giudizi.

Definiamolo Napoleone dei lucri mediante furberia, frode, plagio. Monopolista delle televisioni commerciali, in quasi trent’anni abbassa inesorabilmente i livelli intellettuali e del gusto allevando masse in stato d’ipnosi: confondono reale e virtuale; gli credono qualunque cosa dica; perso l’uso del pensiero, chi l’avesse, ripetono formule elementari somministrate dall’organo d’una manutenzione collettiva dei cervelli; parole-esca scatenano corti circuiti emotivi, ad esempio, la paura degl’inesistenti «comunisti».

Sia chiaro: in stregoneria moderna è un capolavoro; e se lo combina nel modo più naturale, sfogando puri riflessi, mentre l’animale pensante, sensibile all’aculeo morale, dubita, esita, soffre, fatica, lungo vie tortuose quanto brevi sono le sue.

E’ una forza essere monco d’alcune costose qualità umane.

Tipico animal impoliticum: il politico capisce l’avversario, commisura gl’interessi, coglie i lati delle questioni, scova punti d’intesa, presupponendo che le regole vincolino e violarle sia atto indegno; Leviathan ascolta e vede solo l’enorme Ego.

Esce dall’utero d’un regime corrotto: caduto il quale, ne prende il posto, avendo larga riserva elettorale nel pubblico televisivo; schiera uomini dell’azienda, tutti uguali; raccoglie dei superstiti e i soliti cercatori d’ingaggio; viene anche qualche sciabola libera, male accolta perché lì dentro vale uno slogan della guerra civile spagnola («Abajo la Inteligencia», grida José MillànAstray y Terreros, generale necrofilo, in faccia al malinconico umanista Miguel de Unamuno).

Forte dell’ordigno con cui entra nelle teste, vince, perde due anni dopo, rivince, governa male, perde ancora d’una minima misura, infine rioccupai luoghi del potere, risoluto a goderselo almeno diciannove anni (ne ha settantadue); e subito si proclama immune dalla giurisdizione penale, qualunque sia l’ipotetico delitto, passato o futuro.

Nel mondo evoluto la Rutulia è l’unico paese dove potesse accadere.

Leviathan regola l’anima ai sudditi con le lanterne magiche che gli portano soldi a palate: vanta un patrimonio illo tempore stimato in ventimila milioni d’euro; ed è impossibile che questa lunga coda non s’insinui nelle decisioni governative.

Stravaganze da Nave dei Folli: i Rutuli gliele concedono; nei sei anni dei loro governi gli attuali oppositori stavano col cappello in mano davanti all’Impero.

Era prevedibile che Leviathan governasse male: non è il suo mestiere; l’arte dell’arricchirsi in frode alle norme istupidendo armenti umani ha poco da spartire con la scienza laboriosamente praticata da Cavour, Giolitti, De Gasperi.

I mangiatori del papavero via etere pensavano che, così abile nel coltivare i suoi interessi, beneficasse tutti: nossignori, diventa ancora più ricco provvedendo a se stesso; il resto va secondo le lune.

Ne sopravviene una nerissima nella notte della recessione planetaria.

Qui appare inetto in forme sbalorditive. Dapprima nega il pericolo: mandino al diavolo i beccamorti predicanti sventura; le cose vanno bene; «siete ricchi, giovani, belli» (nel suo vangelo i vecchi hanno diritto a chiome finte e dentiere scintillanti, ma sinora i soli beneficiari del favore governativo so-no scuole confessionali e gl’insegnanti di religione nella scuola statale).

Quando la res publica corre pericolo, gli statisti chiedono sforzi collettivi.

Agl’Inglesi rimasti soli contro Hitler, Winston Churchill prospetta lacrime, sudore, sangue.

Leviathan lancia un appello edonistico ai consumi: siamo sotto le feste; l’importante è spendere; «dipende da voi rimettere in moto la macchina».

Almeno avesse detto: «chi può spenda»; l’enciclica mobilita anche i poveri e gli ormai quasi tali, sono tanti.

Viene in mente Maria Antonietta, stupita che i popolani tumultuino: «non hanno pane, Maestà»; «mangino brioches».

Non è temerario supporre che s’arricchisca anche sulla recessione.

Occhiate dal parterre studiano il corpo del re, in cerca d’indizi: commette frequenti gaffes; parla, disdice, nega quel che milioni d’occhi hanno visto e orecchie udito; bofonchia contumelie («imbecilli», «miserabili», «imparino il mestiere», «vadano a casa»).

Affiorano fondi sinistri.

Ad esempio, va in provincia: i devoti se lo bevono; raccoglie suppliche; corre seminando quelli del sèguito; e quando un paralitico in carrozzella chiede aiuto, risponde beffardo; non gli basta avere una bella moglie? Suona come l’aneddoto d’un nero vangelo apocrifo.

Lo scenario clinico appare molto interessante. Nella prossima lettera a «Stylus» esporrò qualche ipotesi prognostica."xxx

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lunedì 15 dicembre 2008

Non è "Il Caso De Magistris" ma "Il Caso Calabria" - Non "Lotta tra Procure" ma "Indagine sul Tribunale di Catanzaro"



Dal Corriere della Sera.it, un articolo di Carlo Vulpio, del 03.12.2008.

"Il blitz Operazione dei magistrati di Salerno. Sequestrata la documentazione
Caso de Magistris, toghe indagate «Illeciti per sfilargli le inchieste»
Perquisita la Procura di Catanzaro sui filoni Why Not e Poseidonexxx

CATANZARO - Non era mai accaduto prima in Italia, che una procura della Repubblica fosse «circondata» come un fortino della malavita. Ieri è successo alla procura di Catanzaro, che per tutta la giornata e fino a tarda sera è stata letteralmente accerchiata da cento carabinieri e una ventina di poliziotti, tutti arrivati da Salerno. Con i carabinieri del Reparto operativo e i poliziotti della Digos, sono entrati in procura ben sette magistrati, tra i quali il procuratore di Salerno, Luigi Apicella, e i titolari dell' inchiesta, Gabriella Nuzzi e Dionigio Verasani. Hanno notificato avvisi di garanzia e perquisito case e uffici dei magistrati calabresi che hanno scippato le inchieste «Poseidone» e «Why Not» all' ex pm Luigi de Magistris (ora giudice del Riesame a Napoli) e dei magistrati che queste inchieste hanno ereditato, «per smembrarle, disintegrarle e favorire alcuni indagati», scrivono i pm salernitani. Tra gli indagati «favoriti», l' ex ministro della Giustizia, Clemente Mastella, il segretario nazionale Udc, Lorenzo Cesa, l' ex governatore di Calabria, nonché ex procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, il generale della Guardia di Finanza, Walter Cretella Lombardo, l' ex sottosegretario con delega al Cipe, Giuseppe Galati (Udc), Giancarlo Pittelli, deputato di Forza Italia, il ras della Compagnia delle Opere per il Sud Italia, Antonio Saladino. Ma questo è solo il troncone calabro. Gli stessi magistrati salernitani, infatti, stanno indagando anche in altre due direzioni. La prima riguarda uno stuolo di giudici lucani coinvolti nella «madre di tutte le inchieste» sul marcio nella magistratura (l' inchiesta «Toghe Lucane», che de Magistris è riuscito a «chiudere» prima di essere frettolosamente trasferito). La seconda andrebbe diritta verso alcuni membri del Csm: per esempio, il vicepresidente Nicola Mancino e i presunti legami con Antonio Saladino, figura chiave di «Why Not», il procuratore generale della Corte di Cassazione, Mario Delli Priscoli, andato in pensione qualche giorno fa, e il sostituto procuratore generale della Cassazione, nonché governatore (Ds) delle Marche per dieci anni, Vito D' Ambrosio, che in Csm sostenne l' accusa per far trasferire de Magistris. Ce n' è anche per l' Associazione nazionale magistrati e per il suo presidente, Simone Luerti. Molto amico di diversi indagati eccellenti quando faceva il magistrato in Calabria, Luerti non ha mai perso occasione di esternare contro de Magistris. Quando poi, qualche mese fa, si è scoperto che incontrava regolarmente Saladino e Mastella nella sede del ministero della Giustizia, mentre lui negava, Luerti s' è dovuto dimettere dalla carica di presidente dell' Anm. Nel decreto di perquisizione eseguito ieri, 1.700 pagine, i pm di Salerno accusano di concorso in corruzione in atti giudiziari - per aver tolto «illegalmente» a de Magistris «Why Not» e «Poseidone» - il procuratore di Catanzaro, Mariano Lombardi, il procuratore aggiunto, Salvatore Murone, il procuratore generale reggente, Dolcino Favi, il parlamentare Giancarlo Pittelli e «l' uomo ovunque» Antonio Saladino. Ma accusano anche il sostituto procuratore generale Alfredo Garbati, il sostituto procuratore generale presso la Corte d' Appello Domenico De Lorenzo e il pm Salvatore Curcio di aver preso in eredità quelle scottanti inchieste al solo scopo di farle a pezzi. Mentre il procuratore generale Vincenzo Iannelli e il presidente di Sezione del tribunale Bruno Arcuri si sarebbero dati da fare non solo «per archiviare illegalmente» la posizione di Mastella («la cui iscrizione tra gli indagati era invece doverosa»), ma anche «per calunniare de Magistris e disintegrarlo professionalmente». Poi, dicono i pm campani, Iannelli, per una causa che gli sta a cuore, fa intervenire Chiaravalloti su Patrizia Pasquin, giudice del tribunale di Vibo Valentia, che poi sarebbe stata arrestata. Così, da magistrato a magistrato, come da compare a compare. Carlo Vulpio

Vulpio Carlo

Pagina 21
(3 dicembre 2008) - Corriere della Sera"xxx

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venerdì 15 agosto 2008

Forza Israele


Dal Blog "Voglio Scendere", un pezzo di Marco Travaglio.

"Ora d'aria
l'Unità, 5 agosto 2008

L’altra sera, in quella parodia di telegiornale che si fa chiamare Tg1, il ridanciano Attilio Romita annunciava giulivo come quarta notizia del giorno che “prende sempre più piede la moda dell’aperitivo in spiaggia… e allora cin-cin in riva al mare!”. In compenso, a una settimana di distanza, si attende ancora un servizio che metta a confronto Italia e Israele in relazione a una straordinaria coincidenza (entrambe le democrazie hanno il premier sott’accusa per corruzione) e a un’altrettanto straordinaria differenza: in Israele salta il premier sotto processo, in Italia saltano i processi al premier. Per legge. xxx

Ora, visto che i servi sparsi per giornali e tg hanno raccontato per un mese che il Lodo Alfano “esiste in tutte le democrazie del mondo”, il giornalismo anglosassone di cui Johhny Raiotta è maestro (come si può notare dalla camicia bianca) imporrebbe una qualche rettifica. Del tipo: “Gentili telespettatori, vi è stato raccontato che, nelle altre democrazie, il premier è coperto da immunità: bene, siamo lieti di informarvi che non è vero, l’immunità ce l’ha solo il nostro”. Lo stesso potrebbero fare i giornali, come il Corriere, popolato di fans sfegatati di Israele nonché denunciatori indefessi della presunta “anomalia” costituita dai processi a Berlusconi. Invece niente, silenzio di tomba. E dire che, tra il caso Olmert e il caso Al Tappone, c’è un abisso. Il primo avrebbe mille ragioni in più del secondo per restare al suo posto. Olmert non è stato ancora formalmente incriminato, Al Tappone è imputato in seguito a due rinvii a giudizio e a una terza richiesta di rinvio a giudizio. Il reato contestato a Olmert è infinitamente meno grave di quelli contestati ad Al Tappone: nessuna corruzione di testimoni o di dirigenti televisivi, nessuna compravendita di senatori, nessuna frode fiscale, ma una modesta vicenda di finanziamenti elettorali non dichiarati (la miseria di 150 mila dollari ricevuti, secondo l’accusa, dal magnate americano Morris Talsunky). L’indagine a suo carico è nata dopo la sua ascesa alla guida del governo, non prima. I fatti contestati riguardano la sua attività politica, non i suoi affari privati (Olmert non ne ha). Israele, poi, è un paese in guerra da quand’è nato e nei prossimi mesi potrebbe giungere finalmente alla pace con i palestinesi.

Insomma, almeno per i canoni italioti, non sarebbe stato affatto scandaloso se Olmert si fosse presentato in tv per annunciare che sarebbe rimasto al suo posto per non lasciare senza guida il suo Paese in un momento così delicato. Invece il pensiero non l’ha neppure sfiorato. Con un discorso pieno di dignità e di senso dello Stato, che andrebbe affisso su tutte le pareti del Parlamento e del governo italiano e studiato a memoria dai nostri sedicenti rappresentanti, il premier israeliano ha detto quanto segue: “Sono fiero di appartenere a uno Stato in cui un premier può essere investigato come un semplice cittadino. Un premier non può essere al di sopra della legge, ma nemmeno al di sotto. Se devo scegliere fra me, la consapevolezza di essere innocente, e il fatto che restando al mio posto possa mettere in grave imbarazzo il Paese che amo e che ho l’onore di rappresentare, non ho dubbi: mi faccio da parte perché anche il primo ministro dev’essere giudicato come gli altri. Dimostrerò che le accuse di corruzione sono infondate da cittadino qualunque. Errori ne ho commessi e me ne pento. Per la carica che occupo ero consapevole di poter finire al centro di attacchi feroci. Ma nel mio caso si è passata la misura”.

Parole nobili che, dunque, non sono piaciute al Foglio di Giuliano Ferrara. Ammiratore fanatico di Israele, stavolta il Platinette Barbuto commenta incredulo: “La stampa israeliana è terribile, quando ha un pezzo di carne tra i denti è difficile che lo molli. Neppure se si chiama Olmert. Maariv e Yedioth Ahronot hanno pubblicato le deposizioni del premier, parola per parola… Verbali devastanti per Olmert… Dalla procura spiegano che le prove acquisite vanno ben oltre la testimonianza di Talansky... Olmert dovrà testimoniare per la quarta volta”.

Capite la gravità della situazione? La stampa israeliana fa il suo dovere e pubblica i verbali senza che nessuno chieda una legge per silenziarla. La procura spiega le prove senza che nessuno chieda l’arresto o il trasferimento dei pm. Il premier viene convocato per quattro volte dai magistrati senza che nessuno strilli all’”uso politico della giustizia”, anzi Olmert si presenta ogni volta dinanzi ai suoi accusatori anziché rispondere che ha di meglio da fare. Il capo dello Stato, anziché tuonare contro la “giustizia spettacolo” o salmodiare su presunti “scontri fra politica e magistratura”, se ne sta zitto e buono. E, udite udite, sia le opposizioni sia i vertici del partito Kadima premevano da tempo perché Olmert si dimettesse. Roba da matti. In Israele gli oppositori si oppongono senza che nessuno si sogni di accusarli di giustizialismo, dipietrismo o anti-olmertismo. Anche perché Israele non conosce fenomeni come Galli della Loggia, Panebianco, Ostellino, Battista, Romano, Franco & Franchi, Polito El Drito e gli altri trombettieri del Lodo. Che infatti, alla notizia delle dimissioni di Olmert, si son subito messi in ferie.
" xxx

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giovedì 31 luglio 2008

Il cuore profondo delle inchieste di Luigi De Magistris


Giuliano Tavaroli-->

Dal Blog "UGUALE PER TUTTI", un articolo tratto dal quotidiano "La Stampa", del 27.07.2008, a firma di Antonio Massari.

.\. Che dica il vero, oppure no, adesso Giuliano Tavaroli potrebbe raccontare la sua versione, su certi fatti, alla procura di Salerno, che indaga sul “caso de Magistris”.

E l’ex addetto alla security di Telecom potrebbe persino gradire l’invito, per spiegare cos’intende con “network eversivo” - vero o falso che sia - ed elencare ruoli, nomi e cognomi.

Esistono infatti alcuni punti di contatto tra alcune dichiarazioni di Tavaroli e dei nomi che spuntano dalle inchieste condotte da Luigi de Magistris, il pm napoletano, punito e trasferito dal Csm, che indagava su “Why Not” e “Poseidone”, ovvero sull’utilizzo dei fondi europei e sugl’intrecci fra massoneria e istituzioni.xxx

Un’inchiesta che gli viene avocata in un preciso momento storico: quando inizia a indagare su un presunto network, di matrice spionistica, legato ai servizi segreti e alla massoneria.

Ma torniamo ai punti di contatto tra la vicenda Tavaroli e il “caso de Magistris”.

Intanto, il pm napoletano, nell’inverno 2007, mentre sta indagando sul generale della Guardia di Finanza, Walter Cretella Lombardo, e su una presunta rete spionistica, chiede a Milano di acquisire atti dell’inchiesta Telecom.

Dagli atti spunta Renato d’Andria, uomo già al centro di un’inchiesta su massoneria, spioni, dossier illegali, che nel 2001 aveva portato all’arresto – proprio su richiesta di de Magistris – dello stesso d’Andria, del colonnello dei carabinieri Pietro Sica e di alcuni faccendieri.

De Magistris lo iscrive nel registro degli indagati – poche settimane prima di perdere l’inchiesta Why Not – perché ritiene che stia trafficando, in maniera illecita, sulle autorizzazioni per l’eolico in Calabria. La pista investigativa porta alle istituzioni regionali e a politici nazionali.

Tavaroli dichiara che l’origine dei suoi guai è legata a Salvatore Di Gangi.

È lo stesso Di Gangi perquisito da de Magistris nell’inchiesta “Poseidone”, sulle truffe legate ai depuratori d’acqua, e ai rifiuti, in Calabria.

Un uomo che compare nelle vicissitudini finanziarie di alcune società, legate al segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa (oggetto di un dossier illegale ordinato da Tavaroli, su richiesta di un generale della GdF, e che portò alla scoperta di presunti fondi esteri).

Società che portano alla Global Media, descritta, dai consulenti di de Magistris, come il “polmone finanziario” dell’Udc.

Anche Di Gangi si occupa di sicurezza, con diverse società, nelle quali spunta persino il leader storico della banda della Magliana.

Nel “network eversivo” evocato da Tavaroli, spunta anche Luigi Bisignani, ex piduista, condannato per la maxi tangente Enimont.

È lo stesso Bisignani indagato e perquisito da de Magistris in Why Not, inchiesta legata ad Antonio Saladino, ex presidente calabrese della Compagnia delle Opere, considerato, anche da chi ha ereditato l’inchiesta Why Not, in grado di spostare voti e determinare le sorti politiche della regione.

Ma il “cuore” di “Why not” e “Poseidone” pulsa molto più in profondità: la pista investigativa ipotizza una lobby in grado di condizionare tutti i settori, dall’economia alla finanza, inclusa la magistratura.

E questo cuore batte a Salerno.

Dove s’indaga, tra gli altri, su Giancarlo Pittelli (indagato in Why not e Poseidone, coordinatore regionale di Forza Italia, avvocato penalista, e difensore proprio di Di Gangi).

E inoltre: s’indaga su Mariano Lombardi (ex procuratore capo di Catanzaro), Salvatore Murone (procuratore reggente di Catanzaro), Adalgisa Rinardo (presidente del tribunale del riesame di Catanzaro), Dolcino Favi (ex reggente della procura generale di Catanzaro). Reato ipotizzato: corruzione in atti giudiziari (per Favi l’ipotesi è abuso d’ufficio).

Lombardi revocò Poseidone a De Magistris. Favi avocò Why Not, dopo l’iscrizione dell’ex ministro Mastella nel registro degli indagati.

La procura di Salerno suppone un’opera di delegittimazione, nei confronti di De Magistris, finalizzata a ostacolare le sue inchieste.

De Magistris avrebbe ipotizzato una rete occulta, in grado di condizionare settori rilevanti delle istituzioni, nella quale, anche Bisignani, peraltro amico di Mastella, avrebbe un ruolo di primo piano, quale punto di riferimento di uomini politici, membri delle forze dell’ordine, faccendieri e uomini dei servizi.

E su questo punto, la versione oggi fornita da Tavaroli, incredibilmente, sembra riscontrare le inchieste di de Magistris. .\.xxx

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giovedì 24 luglio 2008

Libertà per gli assassini


Palermo, via D'amelio-->

Dal Blog "19 luglio 1992", un grido di dolore di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo.

.\. Pochi minuti fa mi è arrivata la notizia della scarcerazione di Contrada, sotto la forma di arresti domiciliari per motivi di salute.
Non posso accettarla, il mio animo si rivolta, il constatare che agli assassini di mio fratello non è bastato ucciderlo ma che stanno anche completando l'opera mi ripugna, mi sconvolge.
Ho voglia di farmi giustizia con le mie mani dato che la Giustizia in questo nostro sciagurato paese non esiste più.
Paolo considerava Contrada un assassino e lo stesso lo considero io e per gli assassini non ci può essere ne perdono ne pietà.xxx

Non è una mia idea, Paolo disse più di una volta ai suoi familiari parlando di Contrada "solo a fare il nome di quell'uomo si può morire".
Contrada era in carcere, il solo finora a pagare per quei pezzi deviati dello Stato che con la criminalità mafiosa hanno trattato e per portare avanti questa trattativa hanno fatto uccidere Paolo Borsellino e con lui tutta la sua scorta, ragazzi mandati a morire senza nessuna difesa ne possibilità di salvezza da chi sapeva che il carico di tritolo, anzi di Semtex, l'esplosivo usato per le stragi di Stato, era già stato depositato in Via D'Amelio.
Contrada era un simbolo, il simbolo di una Giustizia che qualche volta, solo qualche volta, riesce ad inchiodare i colpevoli.
Adesso quelli che lui ha servito e che sono rimasti fuori dalla galera, che non sono mai stati finora indagati perchè i pochi giudici che hanno tentato di farlo sono stati subito ridotti al silenzio, come ha detto l'altro giorno il giudice Scarpinato al Palazzo Steri di Palermo, sono riusciti a tirarlo fuori come gli avevano promesso per evitare che potesse parlare e trascinare in galera anche loro.
Avrei potuto accettare che finisse i suoi miseri giorni a casa sua, se anche gli altri avessero pagato, se fossero partite quelle indagini che non andranno mai avanti sui mandanti occulti della strage, su quelli che non si possono chiamare "mandanti esterni" perchè sono "interni" allo Stato ed alla stessa magistratura.
Ma, come disse Sciascia, "lo stato non può processare se stesso" e quello che c'era scritto sull'Agenda Rossa di Paolo consente di tenere in piedi una rete di ricatti che consente di mettere tutte le pedine al posto giusto, di manovrare i pezzi necessari, ed arrivare alla fine della partita.
Se venissero portate avanti le indagini sulle telefonate partite dal centro del Sisde sul Castello Utveggio, Contrada ed tanti altri insieme a lui potrebbero andare in carcere non per concorso esterno in associazione mafiosa ma per concorso in strage e forse sarebbe allora più difficile tirarli fuori dal carcere, sarebbe più difficile concedere anche a loro l'immunità come per le alte cariche dello Stato, se ne potrebbe salvare uno ma non tutti.
Ho eliminato dal mio vocabolario due parole, la speranza ma anche la disillusione, lo scoraggiamento.
Ce ne sono rimaste solo due la parola rabbia e la parola lotta e a gridare la mia rabbia e a lottare continuerò finche avrò voce, finchè avrò vita. .\.xxx

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Incontri segreti e voti promessi, il pressing dei clan su Dell'Utri - il 41 bis



Dal sito di "la Repubblica.it" - 24.07.2008.

.\. Calabria, 18 arresti hanno decimato i vertici delle cosche Piromalli e Molè
Contro il 41 bis i boss della 'ndrangheta cercarono di avvicinare anche Mastella
Incontri segreti e voti promessi
il pressing dei clan su Dell'Utri
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI

REGGIO CALABRIA - È la trama della 'ndrangheta che vuole liberarsi dalle catene del 41 bis. Una ragnatela che dalla piana di Gioia Tauro si spande a Roma, si infiltra nei ministeri, raggiunge i bracci delle sezioni speciali delle carceri italiane. Promesse di voti, mosse e contromosse per convincere quei deputati o senatori che "possono fare qualcosa", ricatti, maneggi per ottenere immunità diplomatiche, spiate di magistrati.xxx

Non si fermano davanti a niente e a nessuno i capi della 'ndrangheta pur di diventare dei detenuti come tutti gli altri. I personaggi di questo intrigo sono i Piromalli e i Molè, forse i "capibastone" più potenti della Calabria. In una retata che da queste parti ha pochi precedenti per "portata" investigativa - è anche la prima grande operazione firmata dal nuovo procurarore di Reggio Giuseppe Pignatone - la squadra mobile e i ros dei carabinieri hanno decimato con 18 fermi i vertici di due cosche che erano state solo sfiorate dalle investigazioni negli anni passati. Le "famiglie" che soffocano il porto di Gioia Tauro, quelle che come dice uno dei boss catturati "hanno insieme cent'anni di storia".

Sono loro, i Piromalli soprattutto, che in giro per l'Italia hanno sguinzagliato avvocati e compari e consigliori per agganciare il senatore Marcello Dell'Utri e l'ex ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il primo ha ricevuto quei "calabresi" in almeno in due occasioni (alla vigilia delle ultime elezioni politiche), il secondo ha chiuso ogni contatto con loro dopo la prima telefonata. "Maledetto 41 bis, sto tentando di tutto, voglio percorrere una strada segretissima anche al Vaticano", sibila uno di loro al telefono. E poi dice: "Ho cercato anche con la massoneria, per quanto riguarda eventualmente l'intervento di un giudice molto importante".

È alla fine dell'anno scorso che i Piromalli decidono di muovere tutte le loro pedine. È il 3 dicembre del 2007 quando dalla Calabria organizzano per Antonio Piromalli e per il suo amico Gioacchino Arcidiaco (entrambi arrestati nella retata di martedì scorso) un incontro con Marcello Dell'Utri. Dal senatore di Forza Italia vogliono procurare una sorta di immunità attraverso il conferimento di una funzione consolare. Una qualsiasi. Vogliono mettere al sicuro Antonio, il rampollo della "famiglia" con un passaporto diplomatico. In cambio offrono voti e si mettono a disposizione per i "circoli" del senatore nel territorio di Gioia Tauro. Prima di contattare Dell'Utri Arcidiaco chiede ad Aldo Micciché, un ex dc della Piana riparato in Venezuela per sfuggire a grossi guai giudiziari in Italia: "Come mi devo proporre a lui?".

Gli risponde Micciché da Caracas: "La Piana è cosa nostra facci capisciri (fagli capire, ndr), il porto di Gioia Tauro l'abbiamo fatto noi. Fagli capire che in Aspromonte e tutto quello che succede là sopra è successo tramite noi". E ancora: "Ricordati che la politica si deve saper fare. Ora fagli capire che in Calabria o si muove sulla Tirrenica o si muove sulla Ionica o si muove al centro, ha bisogno di noi. Hai capito il discorso? E quando dico noi, intendo dire Gioacchino e Antonio (Piromalli, ndr), mi sono spiegato? Spiegagli chi siamo, che cosa rappresentiamo per la Calabria... io gli ho già detto tante cose". Gli ribatte l'altro: "Gli dico: ho avuto autorizzazione di dire che possiamo garantire per Calabria e Sicilia".

Dopo un primo incontro il 3 dicembre a Milano fra Gioacchino Arcidiaco e Marcello Dell'Utri (c'è con loro l'avvocato di Genova Francesco Lima), ce n'è un secondo a Roma tre giorni prima delle elezioni politiche del 13 aprile. L'inchiesta sta ancora scavando fra i retroscena di quei faccia a faccia, il senatore Dell'Utri sarà ascoltato come testimone.

Gli emissari della 'ndrangheta si sono mossi anche su altri fronti per provare ad avere uno "sconto" sul carcere duro. Contattano una persona - "un mio compare", dice Micciché - vicina al senatore Emilio Colombo, vengono costantemente informati che molti dei loro telefoni sono intercettati - "c'è tutta la rete sotto controllo" - , fanno cenno "a un amico a Palazzo dei Marescialli", ricevono soffiate da due famosi magistrati in pensione di Reggio. Incontrano. Parlano.
Garantiscono.

È sempre Aldo Micciché che informa i Piromalli. Una volta racconta che il deputato dell'Udc Mario Tassone si sarebbe "messo a vostra completissima disposizione" e "che tira aria di elezioni e diventerà il segretario del partito al posto di Lorenzo Cesa", un'altra volta ricorda che anche "il consigliere regionale Gianni Nucera li aspetta a braccia aperte per tutto quello che avete bisogno". Poi si agita per Veltroni che in comizio ha detto di non volere i voti di mafia: "Avete capito il discorso? Quelli hanno respinto ogni forma, ogni cosa".

Il vecchio Giuseppe Piromalli nonostante le tante "amicizie" è però sempre in una cella, isolato nel carcere di Tolmezzo. È a quel punto che Aldo Micciché tenta di "avvicinare" il Guardasigilli Mastella. Il ministro riceve una telefonata sul suo radiomobile il 7 dicembre 2007, in un primo momento non risponde a quel numero sconosciuto ma poi richiama. Sente una voce, quella di Micciché: "Clemente mio, meno male. sto cercando di fare il possibile per aiutarti. Vediamo se recuperiamo sul Lazio e su Roma. ti mando Francesco Tunzi, già hai conosciuto anche altri amici. Noi e nostri". Appena riconosce l'interlocutore che accenna a possibili aiuti elettorali, il ministro interrompe la comunicazione. Ma i boss della già da mesi si aggiravano intorno al ministero della Giustizia.

Cercavano un varco. È sempre la condizione carceraria di Giuseppe Piromalli a impensierirli. Riferiscono al figlio Antonio: "Tuo padre è esasperato, e lo diventa ancora di più quando gli vengono toccate le cose di cui necessita di più, cioè la corrispondenza... gli stanno controllando pure i peli".

È ancora Aldo Micciché che comunica al figlio del boss: "Sia Antonella Pulo, sia la Zerbetto e sia Francesco Borromeo mi hanno fatto capire che tenteranno di fare quello che. sottobanco devono farlo, perché tu sai che c'è stato un irrigidimento dopo gli avvenimenti che tu sai". La prima - Antonella Appulo - è stata identificata come un'esponente del movimento giovanile dell'Udeur. La seconda - Adriana Zerbetto - era la segretaria del ministro della Giustizia. Il terzo - Francesco Borgomeo - era a capo della sua segreteria. Millanterie dell'uomo di Caracas? È un altro dei filoni investigativi ancora in corso di approfondimento.

Comunque è lo stesso Micciché che urla un giorno al telefono: "Sto cazzo di ministro non si può muovere in nessun modo. Devo fare un'altra strada perché è già quasi arrivato il giorno. Sennò siamo fottuti". Il giorno che avrebbero dovuto confermare il 41 bis a Giuseppe Piromalli. I boss parlano a ruota libero, tranquilli, forti del loro "servizio informativo" È Arcidiaco che per una volta avverte Aldo Micciché: "Praticamente ieri ci hanno chiamato e ci hanno detto che due settimane fa hanno tappezzato la macchina di mio cugino Antonio dell'ira di Dio".

Pensano di poter dire tutto su altri telefoni, si sentono "protetti". Aldo Micciché si lascia sfuggire: "Ho ricevuto una telefonata da Reggio da persone che nemmeno ti immagini, molto, molto in alto. Dobbiamo stare molto attenti. Lo sai chi è Peppe T. o Peppe V., sai chi sono questi, sono gente legata a mani piedi culo e poi c'è l'altro personaggio importantissimo". Tutti magistrati. Amici di altri magistrati. Amici dei boss della 'ndrangheta.

(24 luglio 2008) .\.xxx

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mercoledì 23 luglio 2008

La nascita della Seconda Repubblica sul sangue di Falcone e Borsellino - Da sempre l'Italia dei Don Rodrigo



Dal sito di Radio Radicale, il video del convegno tenutosi a Palermo il 18.07.2008 (ignorato dall'informazione), suddiviso anche per singoli interventi, tra gli altri quelli di Salvatore Borsellino, Rita Borsellino, Luigi De Magistris, Roberto Scarpinato (da non perdere), Antonino Ingroia, Giuseppe Lumia.

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C’è un giudice, a Strasburgo



Dal Blog "Voglio Scendere", un pezzo di Marco Travaglio.

.\. Ora d'Aria
l'Unità, 23 luglio 2008

I politici devono rassegnarsi alle critiche, anche aspre. E devono smetterla di considerarle “insulti” o “attacchi” e di denunciare chi le muove. Mentre in Italia la Casta si blinda con scudi, immunità e bavagli alla stampa, da Strasburgo arriva un’altra fondamentale sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in difesa del quarto potere «cane da guardia della democrazia». La sentenza condanna lo Stato italiano a risarcire il politologo Claudio Riolo, condannato a versare 80 milioni di lire (140 con gli interessi) al presidente forzista della provincia di Palermo, Francesco Musotto, per averlo criticato.xxx

Nel novembre 1994 Riolo, che insegna all’Università di Palermo, pubblica su Narcomafie diretto da don Luigi Ciotti l’articolo «Mafia e diritto: la Provincia contro se stessa nel processo Falcone. Lo strano caso dell’avvocato Musotto e di Mister Hyde». Riolo mette il dito nel conflitto d’interessi di Musotto, che in veste di avvocato difende un mafioso imputato per la strage di Capaci e in veste di presidente della Provincia è parte civile nello stesso processo. Musotto denuncia Riolo (non la rivista) in sede civile, chiedendo 500 milioni di danno patrimoniale e 200 di danno morale. Narcomafie ripubblica l’articolo con le firme di altre persone che si autodenunciano con lui. Tra questi, Castellina, Cazzola, Forgione, Lumia, Manconi, Alfredo Galasso, Giuseppina La Torre, Santino, Vendola, Folena, Di Lello. Musotto non li denuncia. Anche perché intanto viene arrestato col fratello con l’accusa di aver ospitato nella sua villa al mare alcuni boss mafiosi latitanti. Sarà assolto per insufficienza di prove: non è provato che fosse al corrente che i capimafia soggiornavano in casa sua, mentre è provato che lo sapesse suo fratello, condannato definitivamente per concorso esterno. In compenso, nel 2000, il Tribunale civile di Palermo condanna Riolo: 80 milioni di danni morali al presidente della Provincia, rieletto trionfalmente alla presidenza della provincia dopo la disavventura giudiziaria. Condanna confermata in appello e in Cassazione nel 2007. Il professore si vede pignorare il quinto dello stipendio e della liquidazione. Ma ricorre a Strasburgo tramite l’avvocato Alessandra Ballerini. E l’altro giorno ha ottenuto ragione dalla Corte europea: la sua condanna viola l’articolo 10 della Convenzione dei diritti dell’uomo, lo Stato italiano deve risarcirlo con 60 mila euro più 12 mila di spese legali.

La Corte, presieduta dalla giudice belga Francoise Tulkens, spiega che «l’articolo incriminato era fondato sulla situazione in cui si trovava Musotto all’epoca dei fatti»: il suo «doppio ruolo» di presidente della Provincia e di difensore di un mafioso «poteva dar luogo a dubbi sull’opportunità delle scelte di un alto rappresentante dell’amministrazione su un processo concernente fatti di estrema gravità» (la strage di Capaci). L’articolo «s’inseriva in un dibattito di pubblico interesse generale»: Musotto è «uomo politico in un posto chiave nell’amministrazione», dunque «deve attendersi che i suoi atti siano sottoposti a una scrupolosa verifica della stampa». «Sapeva o avrebbe dovuto sapere che, continuando a difendere un accusato di mafia… si esponeva a severe critiche». Riolo non ha scritto che Musotto abbia «commesso reati» o «protetto gli interessi della mafia»: ha solo osservato che «un eletto locale potrebbe essere influenzato, almeno in parte, dagli interessi di cui sono portatori i suoi elettori». Un’«opinione che non travalica il limite della libertà di espressione in una società democratica». Riolo l’ha pure sbeffeggiato con «espressioni ironiche». Ma «la libertà giornalistica può contemplare il ricorso a una certa dose di provocazione», che non va confusa con «insulti e offese gratuite» se «si attiene alla situazione esaminata» e se «nessuno contesta la veridicità delle principali informazioni fattuali nell’articolo». Nessun «attacco personale gratuito», allora, ma doverosa critica. Guai a sanzionare le critiche con multe salate che «possono dissuadere» giornalisti e critici a «continuare a informare il pubblico su temi di interesse generale».

Insomma la condanna inflitta a Riolo è «un’ingerenza sproporzionata nel diritto di libertà di espressione» e va annullata col risarcimento. Mentre in Italia con la confusione fra critiche e «insulti», si tenta di soffocare la libera stampa, dall’Europa arriva una boccata d’ossigeno. C’è un giudice, almeno a Strasburgo. .\.xxx

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domenica 20 luglio 2008

La mafia che ci avvolge - ?Dialogo sulle riforme?!: FOLLIA

Video su: Mafia - Dell'Utri - Berlusconi - Fininvest - Forza Italia.

Pensiero: Dialogo su queste fantomatiche riforme della Carta Costituzionale. ?Ma quali sarebbero? - ?In cosa risiederebbe la presunta loro indifferibilità? - ?Quale dovrebbe essere la direzione? - ?Dovrebbero essere concordate con chi fa ogni giorno scempio della Costituzione, delle Istituzioni democratiche?

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giovedì 17 luglio 2008

Wikileaks, velina online contro tutti


Da "la Repubblica.it"

.\. Sul sito dell'australiano Assange segreti di stato e documenti militari top secret
Senza dimenticare i carteggi riservati di banche, aziende e organizzazioni religiose.
Wikileaks, velina online contro tutti
"E' tempo di disobbedienza civile"
di PAOLO PONTONIERE

LA Cina non è l'unico paese al mondo ad essere irritato dalle attività internet dei dissidenti politici. Negli Stati Uniti alla fine di giugno è stato bandito (e poi riaperto) Wikileaks, sito fondato dall'hacker australiano Julian Assange. Lo stesso sito che ha pubblicato di recente il video-denuncia con l'interrogatorio del sedicenne a Guantanamo.

Una sorta di "wikipedia della velina globale", il sito è stato concepito con l'intenzione manifesta di aiutare gli scontenti a far trapelare documenti riservati, segreti di stato, documenti top secret dei militari e i carteggi relativi a tutte le presunte attività illegali di governi, aziende, banche e organizzazioni religiose.xxx

A far scattare le ritorsioni del sistema giuridico statunitense (nello specifico della corte federale della California), nei confronti di Wikileaks era stata la decisione di Assange di pubblicare una serie di documenti scottanti sulle attività di una banca privata svizzera. Il giudice californiano ha così deliberato che il sito meritava di essere delistato da ICANN. Questo ancora prima che l'intervento della Electronic Frontier Foundation e della ACLU, la American Civil Liberty Union, lo costringesse a rivedere la sua posizione.

L'indagine sulla banca rappresenta però solo l'ultimo anello d'una catena di azioni che hanno profondamente angustiato le autorità americane. Wikileaks era finito già da tempo nel mirino del governo USA, in particolare del Pentagono, per aver pubblicato una serie di documenti riservati che avevano fortemente imbarazzato le autorità. Primi fra tutti il manuale di istruzioni usato dai militari americani per interrogare i prigionieri di Guantanamo e una direttiva del Pentagono sulle regole di ingaggio delle truppe americane in Iraq.

Per un sito che è stato lanciato meno di 18 mesi fa, insomma, Wikileaks s'è creato in poco tempo una lista di nemici di dimensioni planetarie. Non solo il governo USA, ma anche quello keniota lo ha messo nel mirino. proprio sul Kenya Wikileaks aveva pubblicato, ancor prima di finire online, un rapporto - soppresso dalle autorità - che accusava l'amministrazione del presidente Daniel Arap Moi.

Wikileaks ha messo i piedi nel piatto anche su Scientology e Tom Cruise, con la pubblicazione di un gran numero di documenti interni della chiesa-setta fondata da Ron Hubbard. Un destino simile è toccato anche alla Church of Jesus Christ of the Latter Day Saints, quella dei mormoni, il quarto gruppo di ispirazione cristiana degli Stati Uniti. Ai militari britannici è invece toccato lo stesso destino di quelli USA, con la pubblicazione delle direttive di ingaggio in Iraq e Afghanistan, mentre per il Venezuela a finire sul sito è stato l'accordo segreto con il governo cubano per la costruzione di un collegamento diretto via fibra ottica tra le due nazioni.

Anche Hollywood non è sfuggita alle forche caudine di Assange. Prima hanno pubblicato il carteggio che è corso tra Wesley Snipes e le autorità tributarie americane (Snipes purtroppo finirà in carcere), e poi una versione iniziale della sceneggiatura dell'ultimo Indiana Jones.

Malgrado le storie pubblicate da Wikileaks abbiano spinto media come il New York Times e il Washington Post ad interessarsi maggiormente di Guantanamo e delle attività delle truppe in Iraq, non tutti i progressisti americani vedono di buon occhio il suo operato. Steven Aftergood, direttore del Secrecy Project della Federation of American Scientists e uno dei maggiori esperti statunitensi di terrorismo, spesso tra i critici più decisi del governo americano, pensa che Wikileaks stia sovvertendo le regole del vivere civile e che le sue soffiate, soprattutto sul funzionamento delle armi segrete statunitensi, facciano il gioco dei nemici dell'occidente.

Una critica questa alla quale Assuage risponde quotando il filosofo della politica filippino Walden Bello: "E' tempo di fare meno società civile e più disobbedienza civile". Per quanto possa apparire assurdo la forza di Wikileaks sta proprio nella sua segretezza. Il dominio è registrato a nome di un keniota che sa ben poco di chi lo faccia o dove si trovi il suo quartier generale. Assange vive da qualche parte in East-Africa e fa solo interviste sul web. Il server principale, che si trova in Svezia, è specchiato da altri server segreti sparsi in giro per il mondo, e così quando la corte federale statunitense ne aveva chiesto la chiusura i webnauti che inserivano il suo indirizzo IP continuavano comunque a collegarsi. Anche i tentativi di Scientology di bloccare alcuni documenti sulla base della difesa del copyright statunitense servono a poco. Non disponibili negli USA, i documenti saranno comunque visibili sugli altri server.

Insofferente alle critiche dei suoi detrattori, Assange conviene però che non tutto ha funzionato come sperava. L'intenzione degli ideatori di Wikileaks - tra i quali figura anche l'esperto di sicurezza Ben Laurie - era quella di creare una creative commons alla Wikipedia, nella quale il pubblico avrebbe pubblicato spiate di tutti i generi e verificato la consistenza dei documenti di supporto. Quest'aspetto non s'è manifestato nei termini sperati, e a parte i giornalisti e gli accademici, che analizzano e utilizzano quotidianamente il materiale pubblicato da Wikileaks, la "sollevazione" di popolo stenta ancora a realizzarsi.

Questo però non scoraggia Assange che invece, da tifoso del giornalismo d'assalto quale dice di essere, in questa fase di crisi dei media tradizionali suggerisce ai professionisti dell'informazione di usare il suo sito per rilanciare la loro reputazione di difensori dell'interesse pubblico. Casomai per abbonamento, visto che conta di trasformare il sito in una sorta di archivio dei progetti segreti, consultabile da giornalisti ed altri professionisti in cambio di una piccola sottoscrizione monetaria.

(17 luglio 2008) .\.xxx

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mercoledì 16 luglio 2008

Silvio libera tutti - 16.07.2008, Antonio Di Pietro con giornalisti della Stampa estera

Particolarmente interessante dal 7° minuto in poi (spostare il cursore cerchiato fino quasi a metà corsa e controllare il tempo nell'indicatore posto al termine della barra di scorrimento).

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Si parlava di Piazza Navona - Dario Fo

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domenica 13 luglio 2008

La proprietà di emittenti televisive determina ineleggibilità parlamentare, non solo incompatibilità nelle cariche di governo



Dal sito dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti.

di Alessandro Pace
(p.o. di diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Roma La Sapienza)

(11 marzo 2002)

Scrivevo anni fa su "La voce" (28 ottobre 1994) -e ho successivamente più volte ribadito (in un saggio pubblicato in "Democrazia e cariche pubbliche" a cura di S. Cassese, Il Mulino, Bologna, 1996, e in un "forum" organizzato dalla "Rivista di diritto costituzionale", 1998)- che l'aver spostato, dalla problematica dell'ineleggibilità parlamentare a quella dell'incompatibilità nelle cariche di governo, l'angolo visuale dal quale considerare i problemi del conflitto di interessi dell'on. Silvio Berlusconi, è stata una mossa abilissima, il cui merito va tutto al Comitato di Tre Saggi istituito dallo stesso Berlusconi ai tempi del suo primo governo.xxx

Infatti, una volta impostato il problema in termini di incompatibilità nelle cariche di Governo (come appunto fa anche il d.d.l. n. 1707 Berlusconi-Frattini-La Loggia di recente approvato alla Camera, così come il precedente d.d.l. a suo tempo votato anche dai partiti di centro-sinistra), il noto problema del conflitto d'interessi viene unilateralmente impostato alla luce (esclusiva) degli artt. 51, 42 e 41 Cost.

In altre parole, posta così la questione, chi esamina il problema finisce per preoccuparsi soltanto del diritto di elettorato passivo del cittadino Silvio Berlusconi, e del pregiudizio che egli verrebbe a subire nel suo diritto d'iniziativa economica e nel suo diritto di proprietà, qualora la permanenza nella carica di governo fosse condizionata alla dismissione della sua proprietà azionaria nelle note imprese televisive, pubblicitarie, di produzione e distribuzione cinematografiche, assicurative ecc.

Ora, a parte il fatto che una dismissione in favore dei figli non eviterebbe ovviamente la permanenza del conflitto d'interessi (anche...l'on. Berlusconi "tiene famiglia"!); e a parte il fatto che il cd. blind trust può ovviamente funzionare solo quando la proprietà sia esclusivamente mobiliare e quando al proprietario (e cioè, nella specie, a Berlusconi) sia inibita la conoscenza dei titoli che il fiduciario designato per legge (il cd. trustee) acquista e vende in vece sua... deve essere ancora una volta sottolineato che, essendo, il mutamento di prospettiva operato dal Comitato di Tre Saggi, radicalmente sbagliato, una soluzione pacificatrice non potrà mai essere rinvenuta, se si continua su quella strada.

E' bensì vero che di recente, sulla stampa, sia Andrea Manzella ("Repubblica"), sia Franco Debenedetti ("Il sole-24 ore"), sia il Presidente del Senato Marcello Pera ("Corriere della sera") hanno, nell'ordine, lamentato che gli interessi mediatici di Berlusconi non vengono affatto evidenziati nel d.d.l. approvato dalla Camera, laddove meriterebbero una specifica attenzione. E' tuttavia altrettanto vero che si continuerebbe "a menar il can per l'aia" se non si facesse un ulteriore passo in avanti e non si centrasse il vero problema, il quale è bensì connesso alla proprietà delle imprese titolari di concessioni televisive ma non è tanto quello dell'incompatibilità di questa proprietà con l'esercizio delle funzioni di governo, quanto l'abnorme influenza che essa effettivamente determina sul comportamento degli elettori: un abnorme influenza che non può non essere fatta risalire a chi è sostanzialmente il proprietario di ben tre emittenti nazionali ed è quindi in grado di condizionare, anche per il tramite della scelta dei direttori e dei collaboratori, la linea editoriale dell'emittente.

In altre parole, il vizio di fondo che pregiudica l'impostazione del d.d.l. approvato dalla Camera, è di non considerare che la nostra forma di governo è tuttora quella parlamentare, nella quale i membri del Governo dovrebbero, in linea di principio, essere dei parlamentari. Pertanto, prima di individuare la base costituzionale di specifiche incompatibilità governative, dovrebbero essere saggiate le potenzialità interpretative dell'art. 65 Cost., che appunto prevede l'esistenza di ineleggibilità parlamentari, oltre che di incompatibilità. Un discrimine, tra le une e le altre, che va individuato in ciò, che mentre le cause di incompatibilità si preoccupano -per finalità di "moralizzazione" della funzione pubblica- di evitare conflitti di interessi tra due cariche pubbliche ovvero tra una carica pubblica e una carica privata, le cause di ineleggibilità -come ripetutamente statuito dalla Corte costituzionale- perseguono lo scopo di evitare "un'indebita influenza sulla libera manifestazione di volontà dell'elettore" ovvero "una capacità di influenza incompatibile con le regole del sistema democratico".

Ed è appunto per tale ragione che, per primo, Pier Alberto Capotosti, nei primi mesi del 1994, invocò l'art. 10 del d. P. r. 30 marzo 1957 n. 361 per sostenere l'ineleggibilità di Silvio Berlusconi, e tale argomento fu ripreso nel successivo ottobre 1994 da Giuliano Amato e da me in due articoli apparsi su "La voce". E mentre io sostenevo -e tuttora sostengo- che l'art. 10, già così com'è scritto, nel combimato disposto del primo e del terzo comma, implicava ed implica l'immediata ineleggibilità di coloro che hanno la proprietà d'imprese private titolari di concessioni amministrative di notevole entità economica, Amato più prudentemente sosteneva che sarebbe stata necessaria una modifica a quella disposizione (e cioè l'estensione del divieto a "coloro che anche indirettamente controllano imprese televisive" ) per determinare, nelle successive elezioni, l'ineleggibilità di Berlusconi.

* * *

Mi sono indotto a scrivere queste note -e l' ho fatto di malavoglia, perché so bene che i politici non vi presteranno attenzione non solo per la scarsa autorevolezza di chi scrive, ma anche per l'argomento del "cosa fatta capo ha"...- perché ritengo che noi costituzionalisti, quali che siano le nostre opzioni politiche, abbiamo comunque il dovere morale di dare un contributo, quanto meno di chiarezza lessicale, alla soluzione di un problema grave come quello del conflitto d'interessi in cui si dibatte il nostro Presidente del Consiglio.

E scrivo queste note nella speranza che almeno si smetta di dire -come ho letto ancora di recente- che "l'elettorato non ha ritenuto rilevante il conflitto d'interessi" perché altrimenti non avrebbe votato Berlusconi... Argomento, questo, che è il classico serpente che si mangia la coda, al quale si può ben rispondere che le ragioni dell'ineleggibilità dell'on. Berlusconi stanno anzi proprio lì, e cioè nell'essere egli riuscito a farsi eleggere grazie all'influenza elettorale esercitata per il tramite delle sue televisioni, e pur ammettendo pubblicamente il proprio conflitto di interessi, ma sulla base della mera promessa che in futuro l'avrebbe risolto...

Nella sezione materiali è disponibile un dossier che raccoglie la documentazione di maggiore rilievo per il tema in oggetto e il nuovo testo della proposta di legge governativa in materiaxxx

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Violante dichiarava: Garanzia piena per TV di B. - NO Conflitto Interessi - SI Eleggibilità nonostante concessioni pubbliche - Fatturato Mediaset X 25

Il testo dell'intervento di Luciano Violante (capogruppo DS), alla Camera, nel 2003:

“… L’onorevole Berlusconi sa per certo, gli è stata data la garanzia piena, non adesso, nel 1994, che non sarebbero state toccate le televisioni, quando ci fu il cambio di governo, e lo sa, lo sa lui e lo sa l’onorevole Letta, e lo sa l’on. Letta; comunque a parte questo, la questione qui è un’altra: voi ci avete accusato di regime nonostante, ripeto, v’avessimo fatto il conflitto d’interessi [n.d.r. - nel senso che -avessimo fatto il conflitto d’interessi secondo quelle che erano le volontà della parte berlusconiana-], avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni [n.d.r. - pubbliche, sulle televisioni], v’avessimo aumentato, durante il centro sinistra, il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte …”

Testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati

D.P.R. 30-03-1957, n. 361, Testo Unico, Art. 10

Non sono eleggibili inoltre:

1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l'autorizzazione è sottoposta;

2) i rappresentanti, amministratori e dirigenti di società e imprese volte al profitto di privati e sussidiate dallo Stato con sovvenzioni continuative o con garanzia di assegnazioni o di interessi, quando questi sussidi non siano concessi in forza di una legge generale dello Stato;

3) i consulenti legali e amministrativi che prestino in modo permanente l'opera loro alle persone, società e imprese di cui ai nn. 1 e 2, vincolate allo Stato nei modi di cui sopra.


Dalla ineleggibilità sono esclusi i dirigenti di cooperative e di consorzi di cooperative, iscritte regolarmente nei registri di Prefettura.

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sabato 12 luglio 2008

Piazza Navona e le cose che non si possono dire



Dal Blog "Voglio Scendere", lettera aperta di Marco Travaglio al direttore de "L'Unità".

.\. l'Unità, 10 luglio 2008
Lettera aperta al direttore

Caro direttore,
quando tutta la stampa (Unità compresa), tutte le tv e persino alcuni protagonisti dicono la stessa cosa, e cioè che l’altroieri in Piazza Navona due comici (Beppe Grillo e Sabina Guzzanti) e un giornalista (il sottoscritto) avrebbero “insultato” e addirittura “vilipeso” il capo dello Stato italiano e quello vaticano, la prima reazione è inevitabile: mi sono perso qualcosa? Mi sono distratto e non ho sentito alcune cose - le più gravi - dette da Beppe, da Sabina e da me stesso? Poi ho controllato direttamente sui video, tutti disponibili su you tube e sui siti di vari giornali, e sono spiacente di comunicarti che nulla di ciò che è stato scritto e detto da tv e giornali (Unità compresa) è realmente accaduto: nessuno ha insultato né vilipeso Giorgio Napolitano né Benedetto XVI. Nessuno ha “rovinato una bella piazza”. E’ stata, come tu hai potuto constatare de visu, una manifestazione di grande successo, sia per la folla, sia per la qualità degli interventi (escluso ovviamente il mio).xxx

Per la prima volta si sono fuse in una cinque piazze che finora si erano soltanto sfiorate: quella di Di Pietro, quella di molti elettori del Pd, quella della sinistra cosiddetta radicale, quella dei girotondi e quella dei grillini, non sempre sovrapponibili. E un minimo di rigetto era da mettere in conto. Ma è stata una bella piazza plurale, sia sotto che sopra il palco: idee, linguaggi, culture, sensibilità, mestieri diversi, uniti da un solo obiettivo. Cacciare il Caimano. Le prese di distanza e i distinguo interni, per non parlare delle polemiche esterne, sono un prodotto autoreferenziale del Palazzo (chi fa politica deve tener conto degli alleati, delle opportunità, degli elettori, di cui per fortuna gli artisti e i giornalisti, essendo “impolitici”, possono tranquillamente infischiarsi). La gente invece ha applaudito Grillo e Sabina come Colombo (anche quando ha chiesto consensi per Napolitano), Di Pietro, Flores e gli altri oratori, ma anche i politici delle più varie provenienze venuti a manifestare silenziosamente. Applausi contraddittorii, visto che gli applauditi dicevano cose diverse? Non credo proprio. Era chiaro a tutti che il bersaglio era il regime berlusconiano con le sue leggi canaglia, compresi ovviamente quanti non gli si oppongono.

Come mai allora questa percezione non è emersa, nemmeno nei commenti delle persone più vicine, come per esempio te e Furio? Io temo che viviamo tutti nel Truman Show inaugurato 15 anni fa da Al Tappone, che ci ha imposto paletti (anche mentali) sempre più assurdi e ci ha costretti, senza nemmeno rendercene conto, a rinunciare ogni giorno a un pezzettino della nostra libertà. Per cui oggi troviamo eccessivo, o addirittura intollerabile, ciò che qualche anno fa era normale e lo è tuttora nel resto del mondo libero (dove tra l’altro, a parte lo Zimbabwe, non c’è nulla di simile al governo Al Tappone). In Italia l’elenco delle cose che non si possono dire si allunga di giorno in giorno. Negli Stati Uniti, qualche anno fa, uscì senz’alcuno scandalo un libro di Michael Moore dal titolo “Stupid White Man” (pubblicato in Italia da Mondadori…), tutto dedicato alle non eccelse qualità intellettive del presidente Bush. Da dieci anni l’ex presidente Clinton non riesce a uscire da quella che è stata chiamata la “sala orale”. In Francia, la tv pubblica ha trasmesso un programma satirico in cui un attore, parodiando il film “Pulp Fiction” in “Peuple fiction”, irrompe nello studio del presidente Chirac, lo processa sommariamente per le sue innumerevoli menzogne, e poi lo fredda col mitra. A nessuno è mai venuto in mente di parlare di “antibushismo”, di “anticlintonismo”, di “antichirachismo”, di “insulti alla Casa Bianca” o di “vilipendio all’Eliseo”. Tanto più alta è la poltrona su cui siede il politico, tanto più ampio è il diritto di critica e di satira e anche di attacco personale.

Quelli che son risuonati l’altroieri in piazza Navona non erano “insulti”. Erano critiche. Grillo, insolitamente moderato e perfino affettuoso, ha detto che “a Napolitano gli voglio bene, ma sonnecchia come Morfeo e firma tutto”, compreso il via libera al lodo Alfano che crea una “banda dei quattro” con licenza di delinquere. Ha sostenuto che Pertini, Scalfaro e Ciampi non l’avrebbero mai firmato (sui primi due ha ragione: non su Ciampi, che firmò il lodo Schifani). E ha ricordato che l’altro giorno, mentre Napoli boccheggia sotto la monnezza, il presidente era a Capri a festeggiare il compleanno con la signora Mastella, reduce dagli arresti domiciliari, e Bassolino, rinviato a giudizio per truffa alla regione che egli stesso presiede. Tutti dati di fatto che possono essere variamente commentati: non insulti o vilipendi.

Io, in tre parole tre, ho descritto la vergognosa legge Berlusconi che istituisce un’ ”aggravante razziale” e dunque incostituzionale, punendo - per lo stesso reato - gli immigrati irregolari più severamente degli italiani, e mi sono rammaricato del fatto che il Quirinale l’abbia firmata promulgando il decreto sicurezza. Nessun insulto: critica. Veltroni sostiene che io avrei “insultato” anche lui, e che “non è la prima volta”. Lo invito a rivedersi il mio intervento: nessun insulto, un paio di citazioni appena: per il resto la cronistoria puntuale dell’ennesima resurrezione di Al Tappone dalle sue ceneri grazie a chi - come dice Furio Colombo - “confonde il dialogo con i suoi monologhi”. Sono altri dati di fatto, che possono esser variamente valutati, ma non è né insulto né vilipendio. O forse il Colle ha respinto al mittente qualche legge incostituzionale, e non me ne sono accorto? Sono o non sono libero di pensare e di dire che preferivo Scalfaro e i suoi no al Cavaliere? Oppure la libertà di parola, conquistata al prezzo del sangue dai nostri padri, s’è ridotta a libertà di applauso? Forse qualcuno dimentica che quella c’è anche nelle dittature. E’ la libertà di critica che contraddistingue le democrazie. Se poi a esercitarla su temi quali la laicità, gli infortuni sul lavoro, l’ambiente, la malafinanza, la malapolitica, il precariato, la legalità, la libertà d’informazione sono più i comici che i politici, questa non è certo colpa dei comici.

Poi c’è Sabina. Che ha fatto, di tanto grave, Sabina? Ha usato fino in fondo il privilegio della satira, che le consente di chiamare le cose con il loro nome senza le tartuferie e le ipocrisie del politically correct, del politichese e del giornalese: ha tradotto in italiano, con le parole più appropriate, quel che emerge da decine di cronache di giornale sulle presunte telefonate di una signorina dedita ad antichissime attività con l’attuale premier, che poi l’ha promossa ministra. Enrico Fierro ha raccolto l’altro giorno, sull’Unità, i pissi-pissi-bao-bao con cui i giornali di ogni orientamento, da Repubblica al Corriere, dal Riformatorio financo al Giornale, han raccontato quelle presunte chiamate (con la “m”). Ci voleva un quotidiano argentino, il “Clarin”, per usare il termine che comunemente descrive queste cose in Italia: “pompini”, naturalmente di Stato.

Quello di Sabina è stato un capolavoro di invettiva satirica, urticante e spiazzante come dev’essere un’invettiva satirica, senza mediazioni artistiche né perifrasi. Gli ignorantelli di ritorno che gridano “vergogna” non possono sapere che già nell’antica Atene, Aristofane era solito far interrompere le sue commedie con una “paràbasi”, cioè con un’invettiva del corifeo che avanzava verso il pubblico e parlava a nome del commediografo, dicendo la sua sui problemi della città. Anche questa è satira (a meno che qualcuno non la confonda ancora con le barzellette). Si dirà: ma Sabina ha pure mandato il papa all’inferno. Posso garantire che, diversamente da me, lei all’inferno non crede. Quella era un’incursione artistica in un genere letterario inaugurato, se non ricordo male, da Dante Alighieri. Il quale spedì anticipatamente all’inferno il pontefice di allora, Bonifacio VIII, che non gli piaceva più o meno per le stesse ragioni per cui questo papa non piace a lei e a molti: le continue intromissioni del Vaticano nella politica. Anche Dante era girotondino?

Il fatto è che un vasto e variopinto fronte politico-giornalistico aveva preparato i commenti alla manifestazione ancor prima che iniziasse: demonizzatori, giustizialisti, estremisti, forcaioli, nemici delle istituzioni, e ovviamente alleati occulti del Cavaliere. Qualunque cosa fosse accaduta, avrebbero scritto quel che hanno scritto. Lo sapevamo, e abbiamo deciso di non cedere al ricatto, parlando liberamente a chi era venuto per ascoltarci, non per usarci come pedine dei soliti giochetti. Poi, per fortuna, a ristabilire la verità sono arrivati i commenti schiumanti di Al Tappone e di tutto il centrodestra: tutti inferociti perchè la manifestazione spazza via le tentazioni di un’opposizione più morbida o addirittura di un inciucio sul lodo Alfano (ancora martedì sera, a Primo Piano, due direttori della sinistra “che vince”, Polito e Sansonetti, proclamavano in stereo: “Chi se ne frega del lodo Alfano”). La prova migliore del fatto che la manifestazione contro il Caimano e le sue leggi-canaglia è perfettamente riuscita. .\.xxx

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Piazza Navona, 8 luglio 2008


Mi raccomando, “abbassare i toni”, altrimenti l’avversario ha buon gioco!!
Un manipolo di soggetti sta scorrazzando sulla Nostra Carta costituzionale, fa scempio con Lei delle Nostre libertà, ma noi dovremmo spaventarci delle parole “esagerate”, “fuori luogo”.
Va intanto detto che un palco di voci libere, come è stato quello di piazza Navona, è aperto a pensieri e modi che si possono condividere o meno.
E’ sufficiente dissentire dai singoli, non c’è bisogno di demonizzare, magari sviando dai contenuti della manifestazione.

Va tenuto poi conto del singolo oratore: un comico, chi fa satira, si esprimerà necessariamente in modo diverso da un professore universitario o da un compassato giornalista. La libertà è anche dare la parola ed ascoltare persone dalle quali magari si dissente totalmente, che si esprimono in modi che non approviamo, ma che rispettano però la libertà e dignità degli altri, quale limiti inviolabili. IL PERICOLO VERO E’ LADDOVE QUESTO RISPETTO NON SI SA NEANCHE COSA SIA.xxx

Feriscono e devono creare scandalo più i fatti che non le parole, forse scelte per scuotere e rappresentare una situazione che URLA. Un solo esempio, e non su Berlusconi, ma sul Vaticano, unicamente per rendere l’idea.
Caso “Emanuela Orlandi” e dintorni.
?E’ più scandaloso che il Vaticano non senta la necessità di chiarire (e scusarsi per) la sepoltura di Enrico-Renatino De Pedis (capo della famigerata banda della Magliana - n.b. BANDA DI CRIMINALI, DI ASSASSINI) in Sant’Apollinare (IOR, Banco Ambrosiano, Sindona etc.) o, viceversa, è imperdonabile che personaggi dello spettacolo, irriverenti per professione e dna, inviino il Papa all’inferno e altri affanculo?
Matteo 18:7 - “Guai al mondo a causa degli scandali! perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all'uomo per cui lo scandalo avviene!”

Un’ultima considerazione: mi sentirei molto più tranquillo se al Quirinale sedesse un Sandro Pertini; allora per Berlusconi & C. la vedrei più dura. Forse anche Sandro direbbe qualche parola sconveniente per qualche orecchio! Penserebbe meno ai tatticismi di tanti, ma chiamerebbe sicuramente i fatti con il loro nome, almeno così io penso.

QUESTO NOSTRO PAESE HA BISOGNO DI PAROLE PREGNE DI SIGNIFICATO: IL SOVVERTIMENTO DELL’ORDINE COSTITUZIONALE DEVE ESSERE CHIAMATO CON IL SUO NOME, E COME TALE AVVERSATO.xxx

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domenica 6 luglio 2008

Appello di 100 professori di Diritto costituzionale (tra loro 3 ex Presidenti della Corte cost.) contro le ultime leggi "ad personam"



Dal Blog "UGUALE PER TUTTI", un Appello in difesa della NOSTRA Carta costituzionale, sottoscritto da cento professori di Diritto costituzionale, tra loro tre ex Presidenti della Consulta.

.\. I sottoscritti professori ordinari di diritto costituzionale e di discipline equivalenti, vivamente preoccupati per le recenti iniziative legislative intese:

1) a bloccare per un anno i procedimenti penali in corso per fatti commessi prima del 30 giugno 2002, con esclusione dei reati puniti con la pena della reclusione superiore a dieci anni;

2) a reintrodurre nel nostro ordinamento l’immunità temporanea per reati comuni commessi dal Presidente della Repubblica, dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Presidenti di Camera e Senato anche prima dell’assunzione della carica, già prevista dall’art. 1 comma 2 della legge n. 140 del 2003, dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 24 del 2004,xxx

premesso che l’art. 1, comma 2 della Costituzione, nell’affermare che “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, esclude che il popolo possa, col suo voto, rendere giudiziariamente immuni i titolari di cariche elettive e che questi, per il solo fatto di ricoprire cariche istituzionali, siano esentati dal doveroso rispetto della Carta costituzionale,

rilevano, con riferimento alla legge di conversione del decreto legge n. 92 del 2008, che gli artt. 2 bis e 2 ter introdotti con emendamento a tale decreto, sollevano insuperabili perplessità di legittimità costituzionale perché:

a) essendo del tutto estranei alla logica del cosiddetto decreto-sicurezza, difettano dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza richiesti dall’art. 77, comma 2 Cost. (Corte cost., sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008);

b) violano il principio della ragionevole durata dei processi (art. 111, comma 1 Cost., art. 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo);

c) pregiudicano l’obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.), in conseguenza della quale il legislatore non ha il potere di sospendere il corso dei processi, ma solo, e tutt’al più, di prevedere criteri - flessibili - cui gli uffici giudiziari debbano ispirarsi nella formazione dei ruoli d’udienza;

d) la data del 30 giugno 2002 non presenta alcuna giustificazione obiettiva e razionale;

e) non sussiste alcuna ragionevole giustificazione per una così generalizzata sospensione che, alla sua scadenza, produrrebbe ulteriori devastanti effetti di disfunzione della giustizia venendosi a sommare il carico dei processi sospesi a quello dei processi nel frattempo sopravvenuti; rilevano, con riferimento al cosiddetto lodo Alfano, che la sospensione temporanea ivi prevista, concernendo genericamente i reati comuni commessi dai titolari delle sopra indicate quattro alte cariche, viola, oltre alla ragionevole durata dei processi e all’obbligatorietà dell’azione penale, anche e soprattutto l’art. 3, comma 1 Cost., secondo il quale tutti i cittadini “sono eguali davanti alla legge”.

Osservano, a tal proposito, che le vigenti deroghe a tale principio in favore di titolari di cariche istituzionali, tutte previste da norme di rango costituzionale o fondate su precisi obblighi costituzionali, riguardano sempre ed esclusivamente atti o fatti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni.

Per contro, nel cosiddetto lodo Alfano la titolarità della carica istituzionale viene assunta non già come fondamento e limite dell’immunità “funzionale”, bensì come mero pretesto per sospendere l’ordinario corso della giustizia con riferimento a reati “comuni”.

Per ciò che attiene all’analogo art. 1, comma 2 della legge n. 140 del 2003, i sottoscritti rilevano che, nel dichiararne l’incostituzionalità con la citata sentenza n. 24 del 2004, la Corte costituzionale si limitò a constatare che la previsione legislativa in questione difettava di tanti requisiti e condizioni (tra cui la doverosa indicazione del presupposto - e cioè dei reati a cui l’immunità andrebbe applicata - e l’altrettanto doveroso pari trattamento dei ministri e dei parlamentari nell’ipotesi dell’immunità, rispettivamente, del Premier e dei Presidenti delle due Camere), tali da renderla inevitabilmente contrastante con i principi dello Stato di diritto.

Ma ciò la Corte fece senza con ciò pregiudicare la questione di fondo, qui sottolineata, della necessità che qualsiasi forma di prerogativa comportante deroghe al principio di eguale sottoposizione di tutti alla giurisdizione penale debba essere introdotta necessariamente ed esclusivamente con una legge costituzionale.

Infine, date le inesatte notizie diffuse al riguardo, i sottoscritti ritengono opportuno ricordare che l’immunità temporanea per reati comuni è prevista solo nelle Costituzioni greca, portoghese, israeliana e francese con riferimento però al solo Presidente della Repubblica, mentre analoga immunità non è prevista per il Presidente del Consiglio e per i Ministri in alcun ordinamento di democrazia parlamentare analogo al nostro, tanto meno nell’ordinamento spagnolo più volte evocato, ma sempre inesattamente.


Alessandro Pace
Valerio Onida
Leopoldo Elia
Gustavo Zagrebelsky
Enzo Cheli
Gianni Ferrara
Alessandro Pizzorusso
Sergio Bartole
Michele Scudiero
Federico Sorrentino
Franco Bassanini
Franco Modugno
Lorenza Carlassare
Umberto Allegretti
Adele Anzon Demmig
Michela Manetti
Roberto Romboli
Stefano Sicardi
Lorenzo Chieffi
Giuseppe Morbidelli
Cesare Pinelli
Gaetano Azzariti
Mario Dogliani
Enzo Balboni
Alfonso Di Giovine
Mauro Volpi
Stefano Maria Cicconetti
Antonio Ruggeri
Augusto Cerri
Francesco Bilancia
Antonio D’Andrea
Andrea Giorgis
Marco Ruotolo
Andrea Pugiotto
Giuditta Brunelli
Pasquale Costanzo
Alessandro Torre
Silvio Gambino
Marina Calamo Specchia
Ernesto Bettinelli
Gladio Gemma
Roberto Pinardi
Giovanni Di Cosimo
Maria Cristina Grisolia
Antonino Spadaro
Gianmario Demuro
Enrico Grosso
Anna Marzanati
Paolo Carrozza
Giovanni Cocco
Massimo Carli
Renato Balduzzi
Paolo Carnevale
Elisabetta Palici di Suni
Maurizio Pedrazza Gorlero
Guerino D’Ignazio
Vittorio Angiolini
Roberto Toniatti
Alfonso Celotto
Antonio Zorzi Giustiniani
Roberto Borrello
Tania Groppi
Marcello Cecchetti
Antonio Saitta
Marco Olivetti
Carmela Salazar
Elena Malfatti
Ferdinando Pinto
Massimo Siclari
Francesco Rigano
Francesco Rimoli
Mario Fiorillo
Aldo Bardusco
Eduardo Gianfrancesco
Maria Agostina Cabiddu
Gian Candido De Martin
Nicoletta Marzona
Carlo Colapietro
Vincenzo Atripaldi
Margherita Raveraira
Massimo Villone
Riccardo Guastini
Emanuele Rossi
Sergio Lariccia
Angela Musumeci
Giuseppe Volpe
Omar Chessa
Barbara Pezzini
Pietro Ciarlo
Sandro Staiano
Jörg Luther
Agatino Cariola
Nicola Occhiocupo
Carlo Casanato
Maria Paola Viviani Schlein
Carmine Pepe
Filippo Donati
Stefano Merlini
Paolo Caretti
Giovanni Tarli Barbieri
Vincenzo Cocozza
Annamaria Poggi. .\.
xxx

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sabato 5 luglio 2008

Il senso della Democrazia negli U.S.A.


Dal Blog "Voglio Scendere" un pezzo di Peter Gomez.

.\. Dunque ci siamo. Mentre in parlamento si va a passi veloci verso l'approvazione del decreto che bloccherà 100.000 processi pur di sospendere quello in corso a Milano contro Silvio Berlusconi e l'avvocato inglese David Mills, il governo ne sta per presentare un secondo. Questa volta la scure colpisce sia la stampa che la magistratura: non si potrà più pubblicare, nemmeno per riassunto, nessun atto giudiziario e gli investigatori, in decine e decine di casi, non potranno più raccogliere prove con le intercettazioni.

Anche questo decreto legge ha un unico scopo: evitare che i cittadini conoscano i comportamenti del premier e di una parte della classe dirigente che siede in parlamento. Ai sedicenti liberali che occupano la Camera, il Senato e i vertici di molte Istituzioni, vale la pena di ricordare che cosa accadde negli Stati Uniti quasi mezzo secolo fa.xxx

Nel 1967 il ministro della Difesa, Robert S. McNamara, ordinò un'indagine passata alla Storia come i "Pentagon Papers". Lo studio, coperto da segreto di Stato, doveva stabilire in che modo e perché gli Usa si erano impegnati nella disastrosa guerra del Vietnam. La ricostruzione dimostrò, tra l'altro, che il celebre incidente del Golfo del Tonchino in seguito al quale il presidente Lyndon Johnson si appellò al Congresso e fu di fatto autorizzato ad entrare in guerra, era un falso.

Quattro anni dopo un analista della Cia, sconvolto da quanto scoperto, consegnò a due giornali i Pentagon Papers. Il 13 giugno 1971 il New York Times, iniziò la pubblicazione di una serie di articoli basati su quei documenti. Dopo le prime tre puntate, il ministero della giustizia riuscì a far sospendere le pubblicazioni da una sentenza della Corte federale di New York a cui il governo si era rivolto sostenendo che «gli interessi degli Stati Uniti e la sicurezza nazionale avrebbero subito un danno irreparabile dalla diffusione del dossier».

Il 30 giugno 1971, la Corte Suprema degli Stati Uniti autorizzò però i giornali (al New York Times si era affiancato il Washington Post) a riprendere la pubblicazione. Sulla base del primo emendamento della costituzione americana i giudici stabilirono che la libertà di stampa doveva prevalere «su qualsiasi considerazione accessoria intesa a bloccare la pubblicazione delle notizie».

La sentenza fu scritta da un vecchissimo e celebre costituzionalista, il giudice Hugo Black, morto a 85 anni pochi mesi dopo. Black scrive: «Oggi per la prima volta nei 192 anni trascorsi dalla fondazione della repubblica viene chiesto ai tribunali federali di affermare che il Primo emendamento significa che il governo può impedire la pubblicazione di notizie di vitale importanza per il popolo di questo Paese. La stampa (dal punto di vista dei Padri fondatori) deve servire ai governati non ai governanti. Il potere del governo di censurare la stampa è stato abolito perché la stampa rimanesse per sempre libera di censurare il governo».

Oggi anche nel nostro paese la libertà è in pericolo. Ciascuno di noi ha il dovere di difenderla. In attesa che un Hugo Black, se esiste, ricordi a tutti come stanno le cose. .\.

Il I Emendamento della Carta costituzionale americana:
.\. Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa; o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al governo per la riparazione di torti subiti. .\.xxx

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martedì 17 giugno 2008

Il vero volto di Berlusconi


Da "la Repubblica.it" del 17.06.2008

Il vero volto del Cavaliere
di EZIO MAURO

Nel mezzo della luna di miele che la maggioranza degli italiani credeva di vivere con il nuovo governo, la vera natura del berlusconismo emerge prepotente, uguale a se stessa, dominata da uno stato personale di necessità e da un'emergenza privata che spazzano via in un pomeriggio ogni camuffamento istituzionale e ogni travestimento da uomo di Stato del Cavaliere. No. Berlusconi resta Berlusconi, pronto a deformare lo Stato di diritto per salvaguardia personale, a limitare la libertà di stampa per sfuggire alla pubblicazione di dialoghi telefonici imbarazzanti, a colpire il diritto dell'opinione pubblica a essere informata sulle grandi inchieste e sui reati commessi, pur di fermare le indagini della magistratura.

La Repubblica vive un'altra grave umiliazione, con le leggi ad personam che ritornano, il governo del Paese ridotto a scudo privato del premier, la maggioranza parlamentare trasformata in avvocato difensore di un cittadino indagato che vuole sfuggire al suo legittimo giudice, deformando le norme.xxx

In un solo giorno - dopo la strategia del sorriso, il dialogo, l'ambizione del Quirinale - Silvio Berlusconi ha chiamato a raccolta i suoi uomini per operare una doppia azione di sfondamento alla normalità democratica del nostro sistema costituzionale. Sotto attacco, la libertà di informazione da un lato, e l'obbligatorietà dell'azione penale dall'altro.

Per la prima volta nella storia repubblicana, il governo e la sua maggioranza entrano nel campo dell'azione penale per stravolgerne le regole e stabilire una gerarchia tra i reati da perseguire. Uno stravolgimento formale delle norme sulla fissazione dei ruoli d'udienza, che tuttavia si traduce in un'alterazione sostanziale del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Principio istituito a garanzia dell'effettiva imparzialità dei magistrati e dell'uguaglianza dei cittadini.

La nuova norma berlusconiana (presentata come un emendamento al decreto-sicurezza, firmato direttamente dai Presidenti della I e II commissione di Palazzo Madama) obbliga i giudici a dare "precedenza assoluta" ai procedimenti relativi ad alcuni reati, ma questa precedenza serve soprattutto a mascherare il vero obiettivo dell'intervento: la sospensione "immediata e per la durata di un anno" di tutti i processi penali relativi ai fatti commessi fino al 31 dicembre 2001 che si trovino "in uno stato compreso tra la fissazione dell'udienza preliminare e la chiusura del dibattimento di primo grado".

È esattamente la situazione in cui si trova Silvio Berlusconi nel processo in corso davanti al Tribunale di Milano per corruzione in atti giudiziari: con l'accusa di aver spinto l'avvocato londinese Mills a dichiarare il falso sui fondi neri della galassia Fininvest all'estero.

Quel processo è arrivato al passo finale, mancano due udienze alla sentenza. Si capisce la fretta, il conflitto d'interessi, l'urgenza privata, l'emergenza nazionale che ne deriva, la vergogna di una nuova legge ad personam. Bisogna ad ogni costo bloccare quei giudici, anche se operano "in nome del popolo italiano", anche se il caso non riguarda affatto la politica, anche se il discredito internazionale sarà massimo. Bisogna con ogni mezzo evitare quella sentenza, guadagnare un anno, per dar tempo all'avvocato Ghedini (difensore privato del Cavaliere e vero Guardasigilli-ombra del suo governo) di ripresentare quel lodo Schifani che rende il premier non punibile, e che la Consulta ha già giudicato incostituzionale, perché viola l'uguaglianza dei cittadini: un peccato mortale, in democrazia, qualcosa che un leader politico non dovrebbe nemmeno permettersi di pensare, e che invece in Italia verrà presentato in Parlamento per la seconda volta in pochi anni, a tutela della stessa persona, dalla stessa moderna destra che gli italiani hanno scelto per governare il Paese.

Con ogni evidenza, per l'uomo che guida il governo non è sufficiente vincere le elezioni, e nemmeno stravincerle: non gli basta avere una grande maggioranza alle Camere, parlamentari tutti scelti di persona e imposti agli elettori, una forte legittimazione popolare, mano libera nel dispiegare legittimamente la sua politica. No. Ancora una volta a Berlusconi serve qualcosa di illegittimo, che trasformi la politica in puro strumento di potere, il Parlamento in dotazione personale, le istituzioni in materia deformabile, come le leggi, come i poteri della magistratura.

È una coazione a ripetere, rivelatrice di una cultura politica spaventata, di una leadership fuggiasca anche quando è sul trono, di un sentimento istituzionale che abita la Repubblica da estraneo, come se fosse un usurpatore, e non riesce a farsi Stato, vivendo il suo stesso trionfo come abusivo. Col risultato di vedere il Capo dell'esecutivo chiedere aiuto al potere legislativo per bloccare il giudiziario. Qualcosa a cui l'Occidente non è abituato, un abuso di potere che soltanto in Italia non scandalizza, e che soltanto l'establishment italiano può accettare banalizzandolo, per la nota e redditizia complicità dei dominati con l'ordine dominante, che è a fondamento di ogni autoritarismo popolare e di ogni democrazia demagogica, come ci avviamo purtroppo a diventare.

Questo uso esclusivo delle istituzioni e della norma, porta fatalmente il Premier ad un conflitto con il Capo dello Stato, garante della Costituzione. Napolitano era già intervenuto, nelle forme proprie del suo ruolo, contro il tentativo di introdurre la norma anti-prostitute nel decreto sicurezza, spiegando che non si vedeva una ragione d'urgenza. Poi aveva preso posizione per la stessa ragione contro l'ingresso nel decreto della norma che porta i soldati in strada a svolgere compiti di polizia. Oggi si trova di fronte un emendamento che addirittura sospende per un anno i processi penali e ordina ai magistrati come devono muoversi di fronte ai reati, una norma straordinaria inserita come "correzione" in un decreto che parla di tutt'altro.

Che c'entra la sospensione dei processi con la sicurezza? Qual è il carattere di urgenza, davanti ai cittadini? L'unica urgenza - come l'unica sicurezza - è quella privatissima e inconfessabile del premier. Una stortura che diventa un abuso, e anche una sfida al Capo dello Stato, che non potrà accettarla. Come non può accettarla il Partito Democratico, che ieri con Veltroni ha accolto la proposta di Scalfari: il dialogo sulle riforme non può continuare davanti a questi "strappi" della destra, perché non si può parlare di regole con chi le calpesta.

Nello stesso momento, mentre blocca i magistrati e ferma il suo processo, Berlusconi interviene anche sulla libertà di cronaca. Il disegno di legge sulle intercettazioni presentato ieri dal governo, infatti, non impedisce solo la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, con pene fino a 3 anni (e sospensione dalla professione) per il cronista autore dell'articolo e fino a 400 mila euro per l'editore. Le nuove norme vietano all'articolo 2 la pubblicazione "anche parziale o per riassunto" degli atti delle indagini preliminari "anche se non sussiste più il segreto", fino all'inizio del dibattimento.

Questo significa il silenzio su qualsiasi notizia di inchiesta giudiziaria, arresto, interrogatorio, dichiarazione di parte offesa, argomenti delle difese, conclusioni delle indagini preliminari, richiesta di rinvio a giudizio. Tutto l'iter investigativo e istruttorio che precede l'ordinanza del giudice dell'udienza preliminare è ora coperto dal silenzio, anche se è un iter che nella lentezza giudiziaria italiana può durare quattro-sei anni, in qualche caso dieci. In questo spazio muto e segreto, c'è ora l'obbligo (articolo 12) di "informare l'autorità ecclesiastica" quando l'indagato è un religioso cattolico, mentre se è un Vescovo si informerà direttamente il Cardinale Segretario di Stato del Vaticano, con un inedito privilegio per il Capo del governo di uno Stato straniero, e per i cittadini-sacerdoti, più cittadini degli altri.

Se il diritto di cronaca è mutilato, il diritto del cittadino a sapere e a conoscere è fortemente limitato. Con questa norma, non avremmo saputo niente dello spionaggio Telecom, del sequestro di Abu Omar, della scalata all'Antonveneta, della scalata Unipol alla Bnl, del default Parmalat, della vicenda Moggi, della subalternità di Saccà a Berlusconi, dei "pizzini" di Provenzano, della disinformazione organizzata da Pollari e Pompa, e infine degli orrori della clinica Santa Rita di Milano. Ma non c'è solo l'ossessione privata di Berlusconi contro i magistrati e i giornalisti (alcuni).

C'è anche il tentativo scientifico di impedire la formazione di quel soggetto cruciale di ogni moderna democrazia che è la pubblica opinione, un'opinione consapevole proprio in quanto informata, e influente perché organizzata come attore cosciente della moderna agorà. No alla pubblica opinione (che non sappia, che non conosca) a favore di opinioni private, meglio se disorientate e spaventate, chiuse in orizzonti biografici e in paure separate, convinte che non esista più un'azione pubblica efficace, una risposta collettiva a problemi individuali.

A questo insieme di individui - di cui certo fanno parte anche gli sconfitti della globalizzazione, la nuova plebe della modernità - il populismo berlusconiano chiede solo una vibrazione di consenso, un'adesione a politiche simboliche, una partecipazione di stati d'animo, che si risolve nella delega. La cifra che lega il tutto è l'emergenza, intesa come orizzonte delle paure e fine del conformismo, del politicamente corretto, delle regole e degli equilibri istituzionali.

Conta decidere (non importa come), agire (non conta con che efficacia), trasformare l'eccezione in norma. Il governo, a ben guardare, non sta militarizzando le strade o le discariche, ma le sue decisioni e la sua politica. Meglio, sta militarizzando il senso comune degli italiani, forzandolo in un contesto emergenziale continuo, con l'esecutivo trasformato per conseguenza da organo ordinario in straordinario, che opera in uno stato d'eccezione perenne. Così Silvio Berlusconi può permettersi di venire allo scoperto in serata, scrivendo in una lettera a Schifani che la norma blocca-processi "è a favore di tutta la collettività", anche se si applica "a uno tra i molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato contro di me per fini di lotta politica".

È il preannuncio di una ricusazione, in una giornata come questa, vergognosa per la democrazia, con il premier imputato che rifiuta il suo giudice mentre ne blocca l'azione. A dimostrazione che Berlusconi è pronto a tutto. Dovremmo prepararci al peggio: se non fosse che il peggio, probabilmente, lo stiamo già vivendo.

(17 giugno 2008)xxx

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